La mia Libia d’oro profanata dal Raìs

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In Libia gli ebrei furono particolarmente perseguitati: ricordo che una delle prime iniziative di Gheddafi fu quella di costruire una strada sul cimitero ebraico dopo avere buttato a mare con le ruspe le ossa dei morti (tra cui quelle dei miei nonni) e che ci furono diversi pogrom. In quell’occasione perdemmo tutti i nostri beni. Ma anche molti altri, e soprattutto gli italiani, persero tutto in Libia e divennero profughi nell’arco di pochi giorni.
Alla fine però, un evento così traumatico si rivelò una fortuna per me: perché mi offrì l’occasione di partecipare allo straordinario sviluppo economico e sociale dell’Occidente degli ultimi quarant’anni. Non è stato così per i milioni di cittadini libici che, invece, hanno visto ristagnare la loro economia, arretrare la società  e regredire la propria cultura, senza poter sfruttare le grandi opportunità  che offriva loro una terra, ricca e bellissima, come la Libia. Non ci sono più voluto tornare da allora, per non dover sostituire questi bei ricordi con le immagini della Libia di Gheddafi.
Conoscendo questo passato, ho assistito con sgomento alle cerimonie che hanno accolto Gheddafi al G8 all’Aquila e all’Eliseo a Parigi. Essendo pragmatico, capivo che Gheddafi rappresentava un valore economico e politico, ma la prudenza avrebbe dovuto, per lo meno, frenare l’entusiasmo di tanti politici e uomini d’affari occidentali. Collaborare senza «benedire» sarebbe stato più saggio, conoscendo il personaggio. Gli stessi cortigiani di Gheddafi di pochi mesi fa sono diventati i mandanti dell’intervento militare Nato e, oggi, si posizionano come i migliori amici dei ribelli. Ma nessun Pr di grande livello può mascherare al pubblico informato il grave errore che hanno commesso. La vera buona notizia è che la deposizione di Gheddafi offre una grande opportunità  alla «primavera araba»: un modello di democrazia. Grazie alla sua posizione geografica e, soprattutto alla sua storia e alla sua cultura, la Libia potrebbe diventare un riferimento per i 350 milioni di arabi che, nei 100 anni dalla caduta dell’Impero ottomano, hanno potuto scegliere solo tra il torpore fatale della dittatura laica e la delusione dell’estremismo islamico.
Dopo 40 anni, oggi, il popolo libico ha finalmente la libertà  di scegliere. Potrà  perseguire la strada del fondamentalismo xenofobo e antisemita, che lo porterà  inevitabilmente a un isolamento politico e a una stagnazione economica, forse anche peggiori che ai tempi di Gheddafi. Oppure potrà  ricreare quella società  tollerante e multietnica che ricordo ai tempi di re Idris; magari riuscirà  anche a recuperare il tempo perduto e a offrire alle nuove generazioni opportunità  straordinarie. Come molti altri profughi italo-libici, osserverò con trepidazione queste scelte. Per 40 anni ho voluto dimenticare le mie radici, anzi: doverle di tanto in tanto rammentare, come quando Gheddafi divenne azionista della mia adorata Juventus, spesso mi irritava. Ma, come molti dei miei connazionali, so che al primo segnale di una Libia veramente libera, il desiderio di riscoprire le mie radici e rivivere i momenti straordinari della mia fanciullezza sarà  fortissimo.


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