Pd, no allo scudo e sì alla Tobin Ma resta il nodo delle province

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 ROMA. Un nuovo condono fiscale non ci dovrebbe essere, ma vista la credibilità  del governo in carica il condizionale è d’obbligo. Fatto sta che ieri tre ministri ( Romani, Calderoli e Matteoli) hanno smentito l’intenzione dell’esecutivo di riproporre lo scudo per i capitali illecitamente traghettati all’estero. Contro, si era lanciato Pier Luigi Bersani, titolare della proposta di tassare invece i tesoretti già  rimpatriati dallo scudo del 2009.

Falso allarme, dunque? Per il momento sfuma il provvedimento «virtuale». E il Pd incassa una vittoria altrettanto «virtuale». Per il resto il partito democratico è pronto a concentrarsi sul fisco, sul lavoro e sullo sviluppo, e a dare battaglia contro la soppressione delle festività  civili (in Emilia Romagna è già  partita una raccolta di firme con l’applauso dell’associazione nazionale dei partigiani d’Italia), secondo quanto riferisce Paolo Giaretta, il senatore che sta organizzando l’accoglienza di parte democratica del decreto a Palazzo Madama la prossima settimana. L’abolizione sostanziale dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, previsto nella manovra, non è ancora pervenuto nel dibattito interno del Pd, che si sa che sul tema non ha una posizione granitica. Tutti d’accordo invece sulla Tobin Tax: «Sono d’accordo su una tassa sulle transazioni finanziarie anche con una bassa aliquota», ha spiegato ieri Bersani a Sky Tg 24. «Il fatto che si cominci ora a parlarne in Europa segnala un ritardo. Da tempo proponiamo una tassa sulle transazioni finanziarie perché lo sconquasso della bolla finanziaria si è riversato sui debiti pubblici che a loro volta sono ricascati sul welfare. Sarà  giusto che una parte di questo debito venga assorbito da chi ha provocato lo tsunami?». Tobin tax a parte, sulla manovra che inizierà  il suo iter la prossima settimana al senato l’opposizione annuncia «battaglia» ma anche «responsabilità ». Due cose che sommate fanno, con ogni probabilità , contromisure destinate a rimanere agli atti delle camere.
Anche perché fra le opposizioni non tira aria di unità . Sull’abolizione delle province, per esempio, ieri Pier Ferdinando Casini su Facebook (i leader si esprimono sul social network per attenuare la sensazione delle proprie vacanze) si è rivolto al Pd senza mezzi termini: «Sui costi della politica c’è in giro troppa demagogia e poca serietà . Il governo ha proposto di abolire le province sotto i 300mila abitanti, creando paradossi come quelli della Liguria dove rimarrebbe la sola provincia di Genova. Chiediamo alla maggioranza, e al Pd che ha sempre votato contro la loro soppressione, di fare un atto di serietà , abolendole tutte a partire dai primi rinnovi. È così difficile essere seri?».
A stretto giro la risposta di Bersani: si può pensare a un «dimezzamento, oppure a ricondurle a enti di secondo grado». Ma non alla loro abolizione totale perché «poi quando c’è una frana qualcuno bisogna che ci vada». Del resto il provvedimento del governo – la cancellazione delle province al di sotto dei 300mila abitanti e dei comuni sotto di quota mille – ha immediatamente provocato un principio di rivolta fra gli amministratori locali. I sindaci di Prato e Pistoia (Cenni del Pdl e Berti del Pd)hanno sottoscritto un documento in appoggio ai loro presidenti provinciali (entrambi Pd) dichiarando «difficilmente comprensibile» se le loro cittadine «perdessero la dignità  di città  capoluogo e l’attuale dotazione di servizi». Nel bellunese, un drappello di militanti democratici ieri ha inscenato una protesta contro Bossi, Tremonti e Calderoli che si trovavano a Calalzo di Cadore per un convegno, al grido «non ci facciamo cancellare». Si è unito a loro un consigliere provinciale della Lega. Il tema, sul quale è già  scivolato il Pd prima dell’estate, darà  ancora filo da torcere al partitone. Che ha la sua proposta di legge per il «superamento» delle province: ma è un provvedimento costituzionale, richiede tempi biblici. Nell’immediato invece, e manco a dirlo, mezzo partito ne chiede l’abolizione, e l’altra metà  giudica l’idea «antipolitica e populista», come ha scritto ieri il cattolico Lucio D’Ubaldo su Europa.


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Conosciamo l’obiezione: è nelle commissioni che si lavora. Proposte di legge, emendamenti, dossier… passa tutto da lì. Ritornello identico a quello con cui molti deputati e senatori replicano stizziti a chi ricorda la vecchia storia secondo cui nel nostro Parlamento, nonostante un costo non esattamente trascurabile, si batte un po’ la fiacca.

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