“Nell’affare anche le Coop bisognava compiacere il livello politico nazionale”

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MILANO – Le cooperative dovevano «necessariamente» entrare nell’affare dell’area Falck di Sesto San Giovanni. Per i pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia, che indagano sul sistema di presunte tangenti e che hanno chiesto l’arresto dell’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati e del suo braccio destro Giordano Vimercati, la presenza del Consorzio cooperative costruttori di Bologna era la condizione per «compiacere la controparte politica nazionale». Proprio indagando sul ruolo del consorzio, la procura intende chiarire i legami tra gli affari e i casi di presunte corruzioni a Sesto e il partito nazionale.
Secondo i pm, l’imprenditore Giuseppe Pasini, uno dei grandi accusatori di Penati, accetta le coop perché le riconosce come «snodo fondamentale per il buon esito dell’affare» e per il «loro rapporto organico con i vertici nazionali del Pds». «Stupisce – scrivono i pm – come a fronte delle inadempienze del socio emiliano (la Ccc non pagherà  la quota per rilevare i terreni), Pasini riconosca loro il diritto a entrare in ogni caso nell’affare senza chiedere corrispettivi né pretendere indennizzi, ma anzi pagando mediazioni inesistenti», fino a 3,5 milioni di euro ai due professionisti Francesco Agnello e Giampaolo Salami, che stando all’inchiesta, ricevettero quattro pagamenti da 620mila euro senza realizzare nulla. Dazioni che sarebbero «destinate a regolare i conti, a spese di Pasini e non di tasca loro, con la politica a livello centrale». Il costruttore è chiaro con i pm: «non potevo contraddire le coop se non rischiando di affossare tutta l’operazione, perché sono il braccio armato del partito». L’area Falck fu acquistata nel 2000. L’input di coinvolgere i bolognesi sarebbe arrivato direttamente dall’allora sindaco Penati e da Vimercati. Lo racconta ai pm Luca Pasini, figlio del costruttore. «Durante la trattativa conobbi Degli Esposti e un certo Salami come rappresentanti delle coop: ci venne detto, mi pare da Vimercati, che avrebbero garantito la parte romana del partito».
Lo scenario, secondo un altro teste, l’ex genero di Pasini Diego Cotti, era molto più grossa. «Penati insistette affinché la riconversione dell’area Falck fosse appannaggio di un imprenditore locale, per dare un segnale di potenza sia ai vertici romani del partito sia alla famiglia Falck, interessata all’acquisto di Adr e perciò bisognosa del placet della direzione centrale del Pd». Anche per queste rivelazioni, la procura ha configurato per Penati e Vimercati l’ipotesi di reato di concussione, non accolta dal gip che ha derubricato in corruzione. I pm hanno presentato ricorso. «L’inferiorità  di Pasini è accentuata dalle dimensioni dell’operazione, tale da superare l’ambito locale e da imporre l’esigenza di rapportarsi, tramite le cooperative e Agnello, a livello centrale del partito». Relazioni di «straordinaria attualità  – per i pm – perché a dieci anni di distanza Vimercati e Degli Esposti sono ancora coinvolti nell’operazione non più come compagni di avventura di Pasini, ma dei nuovi azionisti». Nell’argomentare le esigenze cautelare i pm parlano di «oltre un quindicennio di gestione a profitto privato dell’attività  edilizia di Sesto», peculiare «sia per il numero di persone coinvolte in sede locale, con “proiezione” in sede nazionale, sia per la molteplicità  degli addebiti».
Proprio a livello nazionale, arrivarono fino a Roma i rumors sull’inchiesta. Il 29 aprile la segretaria di Vimercati, intercettata, confida al telefono: «Ieri sera è venuto Vimercati, chiaramente la cosa si è ripercossa a Roma.. cioè.. è un casino.. hanno tutti i telefoni sotto controllo..». È Vimercati a preoccuparsi dei riflessi romani dell’inchiesta perché «è lui al fianco di Omer Degli Esposti – scrivono i pm – nella gestione dell’operazione e il riferimento alle preoccupazioni romane dà  spessore alla tesi del “doppio binario” di finanziamento per le Falck: un primo flusso a Penati e a Vimercati per la Federazione milanese, un secondo alle persone indicate da Degli Esposti e alle coop emiliane per il livello nazionale».
Di un doppio livello aveva già  parlato il grande accusatore del “Sistema Sesto”, Piero Di Caterina. Raccontando di circa 3,5 miliardi di lire finiti a Vimercati e Penati tra il 1994 e il 2003. «Loro – spiega – mi dicevano che avevano bisogno di ingenti finanziamenti e ho collegato la crescita del fabbisogno all’esplosione delle spese della politica dovute anche alle elezioni sia a Sesto che a livello nazionale».


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