Wall Street in caduta libera lo spettro della recessione affonda le Borse mondiali

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NEW YORK. Il lunedì nero dell’Armageddon è arrivato, il panico ha travolto ogni argine, i mercati globali sono crollati, ma per una crisi diversa da quella che si aspettava. Non bastavano il downgrading americano, e il timore del default-Italia: ora è la recessione il nemico più grande. Non risparmia le potenze emergenti, non risparmia neppure la robusta Germania.
L’incubo è il “double dip”, il doppio tuffo delle economie che ricorda tragicamente i cicli depressivi degli anni Trenta. L’angoscia è accentuata dallo spettacolo d’impotenza del leader più importante del mondo. Barack Obama è andato in tv a dichiarare «l’America resta una nazione da tripla A», ha ribadito che la colpa del downgrading «è del sistema politico», ma ha offerto ricette timide e già  vecchie per prevenire la recessione. Alla fine della sua breve dichiarazione, tutti gli indici di Borsa precipitavano ancora più rapidamente fino al clamoroso tonfo del Dow Jones in chiusura: meno 634 punti, meno 5,55%.

Debacle globale
Nessuno si salva nella débacle della governance globale, tutte le autorità  ieri sono apparse superate dagli eventi. Il weekend si era concluso nell’attesa spasmodica della reazione dei mercati alle due “crisi gemelle”. Da una parte l’emergenza-Italia, che venerdì era stata tamponata con i diktat del direttorio franco-tedesco al governo di Roma, l’improvvisata conferenza stampa di Berlusconi e l’annuncio di misure speciali, poi la promessa della Bce di scendere in campo con acquisti di titoli pubblici italiani. D’altra parte il declassamento del rating sovrano degli Stati Uniti, annunciato da Standard & Poor’s a mercati chiusi nella tarda serata di venerdì, infliggendo un’umiliazione storica alla più grande economia del mondo. Nella notte tra domenica e lunedì i ministri economici del G7 avevano tenuto un vertice in conference call telefonica, concluso con la promessa di «prendere tutte le misure necessarie»; Nicolas Sarkozy e Angela Merkel avevano ribadito la pressione sul governo Berlusconi per imporre il programma di risanamento; la Bce aveva affilato le armi in vista della battaglia del lunedì mattina. Tanti generali di altrettanti eserciti si sono preparati così a combattere la guerra precedente. Perché non appena si sono aperte le Borse asiatiche, seguite da quelle europee, si è avuto il sentore che il pericolo vero aveva cambiato di segno. Tutti i segnali premonitori di una ricaduta nella recessione si sono allineati, uno dopo l’altro. In Europa, mentre la Borsa di Milano vivacchiava inizialmente sostenuta dagli interventi della Bce, l’ondata di vendite più massiccia ha travolto l’indice Dax di Francoforte che ha perso il 5% segnando il peggiore risultato di tutte le piazze continentali.

Il segnale di Francoforte
Misterioso, l’eccesso di paura nella capitale finanziaria dell’economia più solida dell’Unione? Per niente: se è in arrivo la recessione, saranno guai per la Germania che cresce grazie al traino delle esportazioni e vedrà  rattrappirsi tutti i propri mercati di sbocco. Poche ore dopo, nell’emisfero Sud la botta più severa ha colpito la Borsa brasiliana: altro paese il cui boom economico è strettamente legato alle esportazioni, e che risentirebbe in modo pesante di una caduta della domanda mondiale. In parallelo, sono precipitate le quotazioni di tutte le materie prime guidate dal petrolio che ha perso fino al 6% in una sola seduta. Anche questo ha fornito il segnale inequivocabile della giornata di ieri: in tempi normali quando scende il costo dell’energia è una buona notizia per l’economia e le Borse salgono; il ribasso simultaneo e parallelo di materie prime e Borse è un chiaro indicatore di recessione. E’ lo stesso fenomeno che spiega i tonfi brutali della Bmw, della Fiat, della Pirelli, tutte colpite dalla previsione di un periodo nero nei mercati di sbocco (che siano gli Stati Uniti o il Brasile).

la sorpresa dei T-Bond
Il senso della giornata si è fatto ancora più preciso all’apertura di Wall Street. Lì si è scatenata una vera e propria caccia ai titoli del Tesoro: a prima vista insensata, nella prima seduta di scambi dopo il downgrading di Standard&Poor’s. Almeno in questo senso, i mercati hanno dato ragione a Obama e al suo segretario al Tesoro Tim Geithner: non è veramente in discussione la capacità  del Tesoro Usa di ripagare i suoi debiti. La perdita della tripla A, in teoria avrebbe dovuto far scendere il valore di mercato dei buoni del Tesoro emessi da Washington. E’ accaduto l’esatto contrario: una massa di acquisti di titoli pubblici ha fatto precipitare il rendimento del bond decennale al 2,33%, quello a due anni è sceso addirittura a 0,228%. Altro che “reazione al downgrading”. La corsa ai Treasury bond è stata invece la reazione al nuovo pericolo, ben più grosso e spaventoso, quello della recessione. O per meglio dire della Grande Contrazione, il neologismo coniato dal Nobel dell’economia Paul Krugman per descrivere una crisi di durata eccezionalmente lunga. In un’economia che non cresce, si inaridisce la domanda di credito e questo fa scendere i tassi d’interesse di mercato. Inoltre le banche centrali tendono anch’esse a ridurre il costo del denaro. Quando i tassi scendono automaticamente sale il valore dei titoli pubblici già  esistenti (che danno rendimenti superiori). Di qui la corsa ai bond americani, ma anche europei, che ieri ha dominato la giornata. Se crollano in simultanea le Borse, il petrolio e le materie prime, i buoni del Tesoro recuperano d’incanto il loro status di investimento sicuro, in barba ai rating delle agenzie. L’unico bene-rifugio ancora più appetito dei bond di Stato, è l’oro: ieri ha sfondato al galoppo il nuovo massimo storico di 1.720 dollari all’oncia, secondo JP Morgan potrebbe raggiungere addirittura i 2.500 dollari. E’ l’investimento prediletto di chi vede all’orizzonte una perdita di valore di tutte le grandi monete, euro e dollaro. Anche il mercato dei cambi ha riservato le sue sorprese: il dollaro si è rafforzato sull’euro, a conferma che il downgrading era già  storia vecchia.

L’indice della paura
L’indice sintetico che forse racchiude più di tutti il bilancio di ieri è quello che gli esperti chiamano “l’indice della paura”. E’ il Chicago Volatility Index abbreviato in Vix, una sorta di elettrocardiogramma che prende le pulsazioni dei mercati secondo l’ampiezza delle fluttuazioni: è balzato all’insù del 40%, l’equivalente di un attacco d’ipertensione da infarto. C’è il rischio che la paura prenda anche altre forme. Ieri un titolo seguito con particolare apprensione a Wall Street è stato quello della Bank of America, la più grande banca di depositi degli Stati Uniti. Le sue azioni hanno perso il 17%. Quelle della sua seconda maggiore concorrente, Citigroup, sono scese del 15%. Bank of America è stata costretta a smentire che siano necessari interventi d’urgenza a rafforzare il suo capitale. Come nei momenti più cupi della crisi finanziaria del 2008, tornano a serpeggiare i dubbi sulla stabilità  delle banche, e sulla sicurezza dei risparmi a loro affidati. Non c’è di peggio: se ai timori sull’economia reale dovesse aggiungersi l’ansia di possibili crac bancari, saremmo al tragico “remake” del 2008. Con la differenza che oggi le risorse a disposizione dei governi sono diminuite, proprio per effetto dei costi già  sostenuti nei grandi salvataggi del 2008. Oggi si riunisce la Federal Reserve, in un meeting che doveva essere di routine e diventerà  invece una riunione d’emergenza al capezzale d’un malato grave. S’infittiscono le voci secondo cui la banca centrale americana sarà  costretta a ripristinare la terapia estrema che usò dal 2008 in poi: massicce iniezioni di liquidità  attraverso acquisti di titoli di Stato, una sorta di “tenda a ossigeno” per rianimare il paziente. Il timore però è che questi rimedi già  usati in passato diano assuefazione – proprio come gli antibiotici – e che la loro efficacia sia soggetta alla legge dei “rendimenti decrescenti”. Anche la sorella della Fed, la Bce, sarà  sottoposta a un giudizio severo del suo operato. Ieri non se l’è cavata male, nella prima giornata di sostegno ai Btp italiani. Ma quanto può durare l’efficacia del suo intervento, prima che gli attacchi contro l’Italia ritornino ad avere il sopravvento? E in quanto al diktat di Trichet-Merkel-Sarkozy al governo Berlusconi, presto i mercati torneranno a interrogarsi sul “paradosso greco”: terapie di austerità  indiscriminate possono uccidere ogni speranza di crescita, e un’economia in recessione vede inesorabilmente salire il peso dei propri debiti, quindi si avvita verso il default.

Le parole inutili
L’inutile e deludente intervento di Obama a mercati aperti ha suggellato la giornata riportando in primo piano la causa prima dell’Armageddon. Il motore vero della paura è nel corto circuito mondiale fra la Grande Contrazione e l’impasse dei governi. Le leadership politiche sono deboli ovunque: a Washington perché la destra maggioritaria alla Camera boicotta ogni proposta di Obama; in Germania perché l’opinione pubblica contesta gli aiuti della Merkel all’Italia; il Giappone ha governanti screditati dallo scandalo nucleare; perfino la Cina attraversa un periodo di tensione politica male dissimulata dietro i nervosi “avvertimenti” all’America sul debito. Nel vuoto di leadership tutti i governi stanno adottando per automatismo manovre di austerità  di bilancio, il cui segno è “pro-ciclico”: nel senso che gli effetti dei tagli di spesa generalizzati vanno a sommarsi alla debolezza dell’economia reale e l’accentuano. E’ questo che vedono i mercati, e nell’assenza di ogni sbocco positivo accade quel che è accaduto ieri, un fuggi fuggi all’impazzata che a sua volta può alimentare altre paure, altre ritirate, in un avvitamento perverso nella Grande Contrazione.


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