Escort, i pm e il ruolo di Ghedini “Sapeva dei pagamenti illeciti”

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NAPOLI – C’è un primo punto fermo nella partita a scacchi sull’interrogatorio del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. I pm andranno a Palazzo Chigi per ascoltare la “verità ” del premier sugli 850mila euro versati in un anno all’uomo, Valter Lavitola, che lo voleva «tenere sulla corda». Anzi: «spalle al muro». La scelta della sede è stata comunicata dall’avvocato e consigliere giuridico del capo del governo, Niccolò Ghedini. La data però non è stata ancora concordata e dovrà  essere individuata tenendo conto degli impegni del presidente del Consiglio, persona offesa dell’estorsione contestata ai coniugi Giampaolo e Angela (Nicla) Tarantini e a Lavitola.
In attesa che si chiuda questo braccio di ferro, restano altri capitoli “caldi” da sviluppare, nell’inchiesta sul ricatto al capo del governo condotta dalla Procura di Napoli. Ad esempio, il ruolo effettivamente svolto da Ghedini nella gestione del “tesoretto” versato in un anno dal premier a Tarantini attraverso Lavitola.
I pm Francesco Curcio, Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco, interrogheranno presto, per la seconda volta, Tarantini, l’uomo che portò Patrizia D’Addario a Palazzo Grazioli, in carcere da giovedì con l’accusa di aver spillato a Berlusconi 850 mila euro in un anno in cambio del silenzio sul caso escort e soprattutto della scelta di chiudere con il patteggiamento il processo barese così da evitare un dibattimento pubblico e la diffusione di intercettazioni ritenute «catastrofiche» per il premier.
Nella sua ordinanza, il giudice Amelia Primavera, sottolinea che Ghedini (che non è indagato) viene «chiamato in causa» da Tarantini come uno «dei soggetti a conoscenza dei cospicui, ingiustificati ed illeciti trasferimenti di danaro dal Berlusconi» a Giampi. Secondo gli inquirenti inoltre Tarantini avrebbe saputo che Berlusconi aveva consegnato a Lavitola 500 milioni (somma poi trattenuta per i 4/5 dal faccendiere attualmente latitante) «dal suo avvocato Perroni che l’avrebbe appresa, a sua volta, dall’avvocato Niccolò Ghedini». A che titolo?
Il deputato appare agli occhi del gip come perfettamente al corrente dei passaggi di denaro da Berlusconi a Tarantini. La Procura, che nei giorni scorsi ha sentito come testi gli avvocati Nicola Quaranta e Nicola Perroni, legali di Tarantini nella vicenda barese, vuole capire se sia stato proprio Ghedini a gestire in prima persona i pagamenti. Teneva lui il libro paga? Resta anche da capire da dove provenissero quei soldi: tema su cui ha risposto, ai pm, la segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla. «Io non ho accesso ad alcun conto. Semplicemente mi limito a chiedere l’autorizzazione e il Dottore mi dice, “Allora vai in cassaforta e preleva…”». Ma come finiscono quei contanti in cassaforte, tenuto conto soprattutto delle norme antiriciclaggio?
Intanto gli avvocati Ivan Filippelli e Alessandro Diddi, che assistono Gianpi e la moglie hanno eccepito l’incompetenza territoriale dell’ufficio giudiziario napoletano ad occuparsi del caso. Era stata per prima la Procura, nella richiesta di custodia cautelare, a chiedere al gip di valutare questo profilo. Nell’ordinanza il giudice ha ritenuto almeno in questa fase competente il tribunale napoletano. Adesso i pm hanno dieci giorni di tempo per replicare all’eccezione della difesa. Se dovessero rispondere negativamente la parola passerà  alla Procura generale della Corte di Cassazione. La difesa non ha ancora deciso invece se proporre ricorso al Riesame per la scarcerazione di Tarantini. La moglie è agli arresti domiciliari da domenica mattina. Dopo l’interrogatorio «permangono i gravi indizi», rileva il giudice, ma le esigenze cautelari «possono dirsi attenuate anche in considerazione del fatto che la Devenuto è madre di due bambine piccole».


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