I legali e i sospetti sul «trappolone»

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L’avvocato Longo: magistrati «innamorati» di questa indagine di Massimo Franco ROMA — Ma allora c’era il «trappolone» temuto da Silvio Berlusconi? Nel giorno in cui la procura invita il tribunale del riesame a valutare se per il premier si possa configurare il reato di aver indotto Tarantini a mentire, il senatore pdl Piero Longo, difensore assieme a Niccolò Ghedini del premier, avrebbe buon gioco a recriminare sulla lungimiranza di aver sospettato da subito che il colloquio in procura a Napoli per Berlusconi, da testimone senza difensore, ma soprattutto con l’obbligo di dire la verità , si sarebbe trasformato in interrogatorio da indagato. Invece, sottolinea: «Quello che avviene nel Tribunale del Riesame è coperto da segreto istruttorio, quindi io non so cosa sia accaduto e come lo siate venuti a sapere».

Ma sui tentativi della procura di mantenere la competenza dell’inchiesta a Napoli dice: «È amore. È amore».

Amore? «Ma sì. È sorprendente come i pubblici ministeri di Napoli si siano innamorati della loro inchiesta. E, come tutti i gelosi, abbiano tentato di inseguirla in ogni modo per ricondurla a sé». Ma se avessero indagato Berlusconi per induzione a rendere dichiarazioni mendaci? «Se lo avessero fatto ci sarebbe stato un problema».

Quale? «Se loro avessero iscritto Berlusconi nel registro di indagati perché, a loro giudizio, avrebbe spinto Tarantini a non rivelare la verità  sul presunto ricatto, anche questo reato non sarebbe stato di loro competenza. Perché sarebbe stato commesso a Roma e non a Napoli, dove Berlusconi non c’è mai stato».

La battaglia per spostare l’indagine da Napoli a Roma, la difesa di Berlusconi l’ha condotta da subito, inviando memoriali che contenevano dettagli su quel denaro, preso dal presidente del Consiglio dalla cassaforte personale di Palazzo Grazioli (a Roma) e fatti consegnare (a Roma) a Tarantini. E sostenendo che per questo la competenza del reato fosse radicata nella capitale.

Per i pm napoletani non era così. Ora che anche il gip Amelia Primavera ha ritenuto di far inviare gli atti dell’inchiesta a Roma, Longo rimarca: «La prima cosa che deve guardare un giudice e un avvocato è la competenza. La procura napoletana non l’aveva. Come l’ha tenuta? Non ascoltando la presunta parte offesa. Non si è mai visto che prima di arrestare una persona per estorsione non si ascolti il presunto obiettivo del ricatto. Questo è talmente banale».

Magari i magistrati avevano ritenuto di avere elementi a sufficienza contro il presunto ricattatore anche senza sentire la presunta vittima. «Ma la prima domanda da fargli non era: “Scusi lei è ricattato?”», sottolinea Longo.

Allora quale? «Scusi lei è ricattabile? Perché se davvero qualcuno è vittima di un ricatto vuol dire che ha qualcosa da nascondere. E il magistrato deve capire subito di cosa si tratta. Perciò se l’ipotesi sulla quale è stato arrestato Tarantini è: “Tu ricatti Berlusconi per non far sapere che dal sud arrivavano a Palazzo Grazioli ragazze, come si diceva nell’800, di piccola moralità “. Devi ascoltarlo. Invece non l’hanno fatto e così, — continua Longo — essendo incerto il luogo della consumazione del reato, hanno applicato la regola suppletiva, che è prevista dal codice, ma è molto residuale. Ovvero quella di tenerla dove nasce la “notizia criminis”. Noi lo abbiamo detto più volte che non erano competenti, abbiamo inviato queste annotazioni, e alla fine il gip ha detto: “Ohibò queste cose sono avvenute ovunque meno che a Napoli”. Ma siccome è una bellissima storia d’amore i pm non si rassegnano ancora a veder partire la propria favorita».


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