«Cgil rinunci al 28 giugno»

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«Carta straccia». Questo è ormai «l’ipotesi d’accordo del 28 giugno», meglio noto come la base del «nuovo patto sociale» siglato da Confindustria, Cisl, Uil e anche dalla Cgil nonostante la ferrea opposizione della minoranza interna. Carta straccia, perché l’articolo 8 della manovra passata al Senato ieri sera con voto di fiducia elimina qualsiasi necessità  di avere un contratto nazionale o leggi regolatrici dei rapporti di lavoro; basterà  che qualcuno si prenda la briga di firmare un «contratto aziendale» al posto dei lavoratori, senza mai chiedere il loro parere, per consentire a un’azienda di andare «in deroga» a qualsiasi altra pattuizione o persino alla legge. Quasi una legalizzazione del caporalato nel Mezzogiorno, che rende superfluo anche il sindacato.
Ma «carta straccia» significa anche che una strategia, fin qui seguita dalla maggioranza Cgil e in primo luogo dal segretario generale, Susanna Camusso, si è verificata quantomeno inadeguata sul piano dei risultati.
Quindi confronto serrato, inevitabile, anche dentro la Fiom, l’unica categoria in cui i «camussiani» sono minoranza. All’indomani dello sciopero generale i nodi che differenziano le due anime della Cgil sono rimasti stretti. Anzi, proprio la riuscita dello sciopero e la partecipazione sembra averli confermati: si può leggere infatti il successo come una prova della necessità  «di massa» di avere un’opposizione ampia, in grado di incidere tutelando gli interessi sotto attacco da parte del governo o, all’opposto, come un’approvazione di una linea sindacale tesa a recuperare un rapporto unitario con i «complici» del governo. Quelle Cisl e Uil che hanno bollato in vario modo la scelta dello sciopero, fino ad accusare la Cgil di «spaventare le borse».
La relazione presentata da Maurizio Landini ha prevalso molto chiaramente (102 voti contro 27, tre gli astenuti), chiedendo dunque alla Cgil di «ritirare il proprio sostegno e adesione all’ipotesi di accordo del 28 giugno perché messo in discussione dalla legge del governo e in coerenza con le aspettative delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno sostenuto lo sciopero e la mobilitazione del 6 settembre 2011 ». E, visto che la manovra continua il suo iter, che la Cgil «prosegua la mobilitazione definendo un piano straordinario di iniziative, diffuso nei luoghi di lavoro e sul territorio fino anche ad una grande manifestazione nazionale».
È toccato ancora una volta a Fausto Durante – unico dirigente Fiom, oltre a Landini, cui sia stato affidato un comizio in piazza l’altro ieri – interpretare il ruolo del fedele alla linea ufficiale di Corso Italia. Il giudizio sul «patto sociale» non potrebbe essere più diverso: «Occorre ritornare allo spirito e all’impostazione originaria dell’accordo del 28 giugno, richiamando formalmente tutti i protagonisti di quell’accordo – incompatibile con l’articolo 8 della manovra – alla loro responsabilità  di soggetti firmatari di un’intesa che il governo ha stravolto, ledendo pesantemente l’autonomia e la potestà  contrattuale delle parti sociali e attaccando il sistema giuridico e costituzionale dei diritti del mondo del lavoro ».
Ma proprio da lì viene anche una visione diversa sul futuro prossimo dei metalmeccanici italiani. Il 22 e 23 settembre, a Cervia, si terrà  l’assemblea nazionale dei delegati Fiom per discutere e approvare la piattaforma rivendicativa per il rinnovo del contratto nazionale. Quello firmato anche dalla Fiom, e mai disdetto, scade infatti il 31 dicembre di quest’anno. In realtà  sono tre contratti diversi (con Federmeccanica, Confapi e le cooperative), ma unificati come «filosofia» sindacale.
Per la maggioranza di Landini quei testi vanno sottoposti al «voto referendario di tutti i lavoratori» e – se approvati – presentati alle controparti. La mozione di Durante, invece, auspica che la piattaforma si ponga «con chiarezza il tema della riconquista di un contratto nazionale firmato da tutte le organizzazioni sindacali e approvato dalle lavoratrici e dai lavoratori». Due obiettivi in contraddizione, nelle ultime tornate di rinnovi (anche in categorie assai mano abituate al conflitto, come per esempio il commercio), soprattutto per la dichiarata contrarietà  di Cisl e Uil a sottoporre gli accordi al giudizio di chi sarà  poi chiamato a subirli.
Comunque sia, è storia delle prossime settimane. Dopo la votazione unanime a sostegno della Camera del lavoro di Manduria, attaccata nella notte a colpi di pistola, i dirigenti Fiom sono tornati in piazza. Al presidio della Cgil sotto palazzo Chigi (mentre, però, si votava al Senato), ma anche a Piazza Navona, insieme ai movimenti che cercano di far sentire la voce popolare.


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