L’euro in crisi fa paura

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La paura cresce e le borse affondano. Ma la paura non è unica: i mercati infatti hanno il terrore che l’economia globale si possa avvitare in una nuova recessione o quanto meno in una fase di stagnazione. E le previsioni diffuse ieri dall’Ocse (tutte in forte ribasso) ne sono la conferma. Ma c’è anche la paura di un possibile default di qualche paese della periferia a cominciare dalla Grecia; c’è, infine paura, per la stabilità  del sistema bancario che nei prossimi mesi dovrà  essere ricapitalizzato in abbondanza. Infine si teme che gli organismi internazionali non siano compatti: le dimissioni di Stark, il banchiere tedesco, dal comitato esecutivo della Bce non sono state gradite dalle borse. Certo, si sapeva che all’interno della Bce c’erano dissensi in particolare sugli aiuti a Spagna e Italia, ma le dimissioni di Stark sono state clamorose e sono il segnale che nell’Eurotower a Francoforte non c’è più compattezza.
Una miscela esplosiva che ieri, ancora una volta, ha fatto crollare le borse spingendo gli indici sui nuovi minimi dell’anno. Usando una terminologia abusata, quello di ieri è stato un nuovo venerdì nero per le borse europee trascinate al ribasso dal crollo delle quotazioni dalle banche ma soprattutto dalle dimissioni di Juergen Stark. I dati indicano una caduta del 3,6% della borsa di Parigi; a Francoforte il botto è stato del 4%, mentre a Milano l’indice Mib (le 40 società  a maggiore capitalizzazione) è arretrato del 4,93%. Dall’inizio dell’anno Piazzafari ha perso oltre il 30% a causa soprattutto della debolezza del settore bancario (molto rappresentato nell’indice). Quasi tutte le maggiori banche (Unicredit, Banco Popolare e Intesa Sanpaolo) hanno oltre l’8%. Da sottolineare come negli ultimi dieci minuti di contrattazioni (gli scambi si fermano alle 17,30) il Mib ha perso l’1%.
La situazione del sistema bancario (a livello globale) è estremamente complicata e molte banche – anche quelle con fondamentali sani – stanno studiando se procedere a aumenti di capitale per rafforzare i parametri patrimoniali. Un nuovo aumento potrebbe essere varato nei prossimi mesi da Unicredit – anche se la banca è solida – che negli ultimi tre anni ha già  richiesto al mercato 7 miliardi. Altrove, invece, si preferisce cercare di tagliare i costi. Bank of America, ad esempi, secondo una indiscrezione del Wall Street Journal, potrebbe licenziare fino a 40 mila persone nei prossimi anni nell’ambito della ristrutturazione chiesta dall’amministratore delegato Brian Moynihan. Secondo il Wall Street Journal, il ceo (l’amministratore delegato) della banca di Charlotte, in Nord Carolina, ne potrebbe parlare lunedì durante la Barclays Capital 2011 Global Financial Services Conference di New York. I numeri non sarebbero definitivi e Moynihan potrebbe addirittura glissare sull’argomento, parlando piuttosto di come la banca intende risparmiare: il mese scorso aveva detto di puntare a ridurre i costi trimestrali di almeno 1,5 miliardi di dollari. Nel frattempo la Goldman ha ridotto il target price (il prezzo obiettivo dei titoli azionari) di tutte le maggiori banche europee a conferma che i prossimi mesi si annunciano duri per i giganti del credito.
Quasi sempre l’andamento delle borse europee è influenzato dagli indici americani, ma i trend si sono fortemente intrecciati e le borse Usa risentono di quanto sta accadendo in Europa. Anche se il dato è molto provvisorio (circa il 3% di perdita a due ore dalla chiusura delle contrattazioni) ieri a Wall street l’indice Dow Jones (che anche giovedì era andato in rosso dell’1,06%) ha seguito da vicino l’andamento dei mercati europei. Perché? Molti confidavano che il piano da 447 miliardi di dollari presentato da Obama, ma anche il discorso di Bernanke, potessero dare un po’ di carburante alle asfittiche quotazioni. Ma così non è stato. Il discorso del presidente della Fed è stato giudicato molto fumoso, non trasparente. Bernanke ha ribadito che la Federal reserve dispone di ulteriori strumenti per stimolare l’economia, ma non ha specificato in che modo e quando la Fed si muoverà .
Il piano di Obama per il lavoro è gigantesco, ma c’è il timore che l’ostruzionismo dei repubblicani (che hanno la maggioranza alla camera) ne blocchi il via libera o quantomeno ne ritardi l’approvazione rendendolo anche meno efficace. Con questo piano Obama si sta giocando la rielezione alle presidenziali che si terranno tra circa 14 mesi. Lo sa bene il presidente, ma lo sanno bene anche i repubblicani che il prossimo anno puntano a non farlo rieleggere, anche a costo di un peggioramento della congiuntura economica. L’economia globale è fortemente intrecciata e un ostacolo a una ripresa Usa potrebbe arrivare dalla caduta delle quotazioni dell’euro che renderebbero più complicate le esportazioni Usa in Europa, anche se allontanerebbero lo spettro di una inflazione importata. Ieri il dollaro è risalito fino quota 1,37 sull’euro che perde forze a causa delle incertezze sui debiti sovrano. A rendere più complicata una eventuale ripresa c’è poi la debolezza dell’economia nipponica che è ufficialmente e tecnicamente in recessione visto che il Pil sono due trimestri che diminuisce. Certo, larga parte è colpa del terremoto, ma il risultato è che la domanda langue e da Tokyo non arrivano impulsi al commercio mondiale.


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