«Vittima sacrificale». «Una preda». E l’oratoria di Paniz aiutò il deputato

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Mentre l’avvocato Paniz, quello di Ruby nipote di Mubarak, parla con il suo linguaggio immaginifico da sacerdote maya, l’on. Marco Milanese tranquillizza i colleghi alzando il pollice: le cose si mettono bene. Alla fine i deputati della maggioranza fanno la fila per omaggiarlo, come a celebrare un sollievo collettivo. Andrea Ronchi gli stringe la mano sinistra, Luca Barbareschi la destra, Donato Bruno tutte e due, Mazzucca gli tira un coppino, De Angelis gli dà  il cinque, Valentina Aprea lo bacia, Manuela Repetti lo abbraccia, Jole Santelli lo stritola. I volti stralunati del giorno dell’arresto di Papa ora si aprono in sorrisi tipo popolana uscita dalla sala parto: questa è andata. L’unico rabbuiato è Berlusconi. I voti sono una decina meno del previsto. La maggioranza c’è ancora, ma per un soffio.

Da fuori arrivano ovattati i fischi del popolo viola: qualche decina di manifestanti, che giustamente la celere tiene lontani dal Palazzo. Non è dalle comparse delle rappresentazioni consuete, è dai cittadini comuni che il Palazzo ieri ha preso definitivamente congedo. Nel pieno di una crisi finanziaria senza precedenti, nei giorni del crollo della credibilità  italiana sui mercati e nelle istituzioni internazionali, la classe politica assolve uno dei suoi membri da accuse gravissime, derubricate a fumus persecutionis, anzi «fumo persecuzione» come dice il leghista on. Paolini. Ammutolita la sinistra, ancora pesta per il caso Penati. Qualche voto in soccorso di Milanese è arrivato forse dall’Udc. Tremonti non c’è, la sua missione a Washington viene commentata severamente dai leghisti — «Ponzio Pilato» lo definisce Buonanno, maroniano —, anche Berlusconi fa capire di non aver gradito, a chi gli chiede cosa pensa dell’assenza del ministro risponde: «Altre domande?». Paniz, quasi languido: «Da due mesi il nostro collega onorevole Papa langue nelle carceri in attesa di giudizio….».

Sono in attesa di giudizio il 40% dei quasi settantamila detenuti in Italia, ma un parlamentare non può soggiacere alla legge comune: «Qui non stiamo difendendo una persona, bensì l’istituzione. La vita di un uomo è breve; le istituzioni vivono nell’eternità !» proclama solenne con marcato accento meridionale l’on. Pepe. Consolo, l’avvocato finiano, elenca le prebende incassate da Milanese, in cambio — secondo l’accusa — di nomine e appalti: lo yacht, la Bentley, la Ferrari, le cassette di sicurezza prontamente svuotate, la casa in Campo Marzio subaffittata in nero al ministro oggi in missione. Melania Rizzoli del Pdl telefona a Marianna Madia del Pd, il cui parto è previsto per il pomeriggio: «Resta a casa, sai che sono un medico, non puoi venire a votare con le contrazioni!». Paniz, apocalittico: «L’ondata giustizialista che ha sommerso il povero Papa reclama ora un’altra vittima…».

Su Papa la Lega si divise. Maroni e i suoi — la maggioranza del gruppo parlamentare — si fecero fotografare mentre votavano per l’arresto, contro le indicazioni di Bossi. Stavolta, per quanto la posizione di Milanese sia giudicata unanimemente più grave di quella di Papa, il sì all’arresto non sarebbe un segnale ma uno strappo, sancirebbe la frattura della Lega, provocherebbe la caduta del governo. Maroni non siede tra i ministri ma in mezzo ai deputati, per prendere le distanze e anche per verificare che la consegna sia rispettata. Alla fine il capogruppo Reguzzoni, bossiano, anello forte del cerchio magico, può legittimamente dire di aver vinto: «A mio avviso, i franchi tiratori non sono più di due. Ora il governo va avanti fino al 2013. E io anche. Sono stato eletto capogruppo tre volte in un anno e mezzo, non mi pare che in giro ci sia voglia di novità …».

L’unica voglia che si manifesta con chiarezza è quella di durare. Il ragionamento di Veltroni — «solo se cade Berlusconi, e cade adesso, la legislatura arriverà  davvero alla fine» — è un po’ troppo sottile: il peone non si fida. La Madia fa sapere che viene lo stesso: «Se no nasce un caso, i miei non me la perdonano. Mal che vada partorisco all’ambulatorio della Camera». Passa Calearo con occhiali bianchi e neri da rockstar. Fini elenca i trenta deputati che hanno chiesto il voto segreto per incastrare Milanese, al nome «Chiara Moroni» Berlusconi sorride indignato, poi si copre il volto con le mani. Paniz, ispiratissimo: «Vogliamo forse continuare così, inseguire un effimero consenso, offrire un’altra vittima sacrificale allo spirito dell’antipolitica?».

La Madia alla fine arriva ma invano: vince la maggioranza di sette, «anzi di sei» assicura Enrico Letta, i tabulati non riportano il suo voto. L’unico giornale aperto sui banchi di Briguglio e degli altri finiani è «Il Fatto». L’oratore leghista paragona Milanese a Strauss-Kahn. Berlusconi uscendo dal banco sfiora la Carfagna, lei ha un sussulto, ma il premier deve solo passare, la ministra sposta la sedia. Paniz si inoltra in una metafora venatoria: «L’altra volta abbiamo ceduto alla piazza. Ma la piazza ora chiede altre prede, chiederà  sempre più prede…». I dati delle Borse e dei rendimenti dei titoli pubblici chiariscono che la vera crisi è altrove, come la realtà . Chiara Moroni fa notare che suo padre Sergio, capo del Psi bresciano, morto suicida il 2 settembre 1992, non aveva yacht, Bentley, Ferrari. Milanese alza ancora il pollice, in segno di vittoria.


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