MANOVRATORI DI CLASSE

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Affermazione che fa ancora «sganasciare» gli evasori. Oggi la storia si ripete. Parecchi media hanno definito il nuovo provvedimento «manette facili», ma non c’è rischio: di facile non c’è nulla e nessuno finirà  in galera per fisco. E questo «grazie» a un avverbio – «congiuntamente» – che il governo ha inserito sul filo di lana (per favorire chi?) nel testo del decreto. Quel «congiuntamente» unisce, infatti, due condizioni: a)«l’imposta evasa sia superiore al 30% del volume d’affari»; b)«l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a 3 milioni di euro». Ma le due condizioni difficilmente si coniugano. Questo significa che la miriade di «piccoli» evasori (meno di 3 milioni di imposta evasa, ma centinaia di migliaia di euro di fatturato) la faranno franca e anche i grandi evasori non finiranno in carcere perché immaginare una evasione superiore ai 3 milioni non è difficile, ma è quasi impossibile che l’imposta evasa superi il 30% del fatturato.
Sul fronte fiscale siamo, dunque, alla pura demagogia, all’opportunismo più sfrenato. Come quello che nel 2008 portò Berlusconi e Tremonti ad abolire la tracciabilità  dei pagamenti con il risultato che il cavaliere e il ministro l’hanno fatta franca sui soldi passati a Tarantini e Milanese. Ma questo non è l’unico punto indecente della manovra. In realtà  tutta la manovra (arrivata alla quarta stesura in pochi giorni) lo è, anche se l’ammontare complessivo (60 miliardi – con molti dubbi – in tre anni) si avvicina a quanto da tempo si sosteneva fosse necessario per far uscire l’Italia dai guai. Con una aggravante: Berlusconi e Tremonti hanno negato fino a poco più di un mese fa la necessità  di una manovra di questa entità . Con due motivazioni: l’Italia «sta meglio degli altri paesi» e «la Ue non ce la chiede». Ora che il governo è stato commissariato dalla Bce, Draghi e Napolitano la manovra è stata varata. Ovviamente con molte forzature: quasi inutile citare l’articolo 8 che smantella lo statuto dei lavoratori in base al principio che la libertà  di licenziamento favorisce la crescita economica delle imprese. Naturalmente, non quella sociale dei lavoratori.
Ma dentro c’è molto altro: la «riforma» della previdenza delle lavoratrici private, i tagli alla spesa pubblica, la mazzata per le cooperative, i tagli per gli enti locali, il rinvio del pagamento del Tfr ai lavoratori pubblici, l’aumento dell’Iva.
Secondo il Codacons, a regime, per una famiglia comporterà  una maggiore spesa di 385 euro l’anno, oltre – e lo vedrete – un aumento dell’inflazione nettamente superiore a quell’1% di aumento delle aliquote Iva del 20% che si tradurrà  in ulteriore taglio del potere d’acquisto delle famiglie che in dieci anni è già  diminuito di sette punti percentuali.
Una manovra confusa, senza idee, improvvisata. Nulla in grado di dare ossigeno all’economia e al paese. Non a caso tutti gli organismi internazionali (Fmi, in testa) ma anche gli istituti nazionali di previsione, stanno rivedendo al ribasso le prospettive di crescita del Pil. E senza crescita l’occupazione rimarrà  al palo e la domanda ristagnerà . Anche quella estera perché molti paesi hanno varato (o stanno per farlo) manovre restrittive per far quadrare i conti pubblici destabilizzati dalla crisi finanziaria e dai conseguenti salvataggi.
In una fase di crisi tutto è possibile, anche chiedere sacrifici. Ma occorre avere idee chiare e soprattutto confrontarsi con le parti sociali e non con le sole componenti «tappetino». La presunzione e l’egocentrismo di Berlusconi, Tremonti, Brunetta e Sacconi è di ostacolo a ogni trattativa. E così è stata partorita una manovra classista che bastona i ceti medi, i lavoratori, i giovani, che non troveranno lavoro, le donne, che andranno in pensione a 65 più avanti negli anni.
Una constatazione conclusiva: quando l’evasione fiscale è forte occorre colpire di meno il reddito (anche quello delle imprese oneste) e di più la ricchezza mobiliare e immobiliare. Perché la «robba», per dirla alla Verga, sfugge più difficilmente al fisco. Tremonti dovrebbe saperlo, ma quando si attua una politica economica di classe si fa finta di dimenticarlo.


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