Obama inventa la “Tassa Buffett” aliquota minima al 35% per i ricchi

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NEW YORK. Barack Obama ha deciso di fare una cosa di sinistra. Si chiamerà  “Buffett Rule”, la regola di Buffett, dal nome del secondo miliardario più ricco d’America. è la regola per cui “se sei così ricco devi pagare almeno l’aliquota fiscale della tua segretaria”. Il presidente lancia la sfida dell’equità  fiscale, per abolire i privilegi assurdi.
privilegi che premiano chi percepisce rendite finanziarie, plusvalenze patrimoniali e altre entrate speculative. Nasce così la «giusta tassa sul milionario»: chiunque guadagni dal milione di dollari annuo in su, dovrà  essere soggetto a un prelievo del 35% come lo sono i redditi da lavoro dipendente del ceto medio. Addio al privilegio del 15% di ritenuta secca, che oggi si applica alle entrate di tanti gestori di hedge fund. Il gettito della nuova tassa “di sinistra” sarà  destinato proprio alla solidarietà : dovrà  finanziare la manovra per l’occupazione che Obama ha presentato una settimana fa, 447 miliardi di dollari di investimenti nella scuola, nelle infrastrutture, e negli sgravi fiscali per chi assume disoccupati. L’annuncio di Obama verrà  fatto oggi, in coincidenza con i lavori del “supercomitato” bipartisan (12 fra deputati e senatori repubblicani e democratici) che deve trovare un accordo entro fine novembre su come ridurre il deficit federale.
La sfida del presidente è chiara: il risanamento dei conti pubblici è un imperativo, ma non può gravare solo sui redditi dei lavoratori e del ceto medio. E’ un messaggio atteso dalla sua base più militante. Non a caso la “tassa sul milionario” viene annunciata proprio mentre uno dei movimenti più attivi della sinistra americana, MoveOn, sta attraversando una profonda “crisi di coscienza”, con un dibattito interno sull’opportunità  di appoggiare o meno la campagna di rielezione del presidente democratico nel 2012. «Siamo tutti incredibilmente frustrati», aveva confidato ieri al Washington Post il direttore esecutivo di MoveOn, Justin Reuben. MoveOn ebbe un ruolo di punta nel 2008 per mobilitare i giovani e le minoranze etniche, due fasce di elettori che registrarono un’alta affluenza alle urne e furono determinanti per la vittoria di Obama. Oggi tra i militanti più sensibili ai valori dell’ambientalismo o della giustizia sociale serpeggia la delusione per i troppi compromessi e le rinunce di questa Amministrazione. Per la stessa ragione per cui la “tassa sui milionari” galvanizza l’ala sinistra dell’elettorato democratico, finirà  per scontrarsi quasi certamente con un muro di no alla Camera, dove la destra ha la maggioranza. Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, ha già  messo le mani avanti: «Le nuove tasse non sono un’opzione sul tavolo, per il comitato dei 12 che deve ridurre il deficit». Boehner non è il più falco nel suo partito, ma deve fare i conti con una robusta pattuglia di deputati (una settantina) che vennero eletti nel novembre 2010 col sostegno determinante del Tea Party. I rappresentanti di quel movimento anti-tasse a anti-Stato hanno sottoscritto un “giuramento solenne” coi propri elettori, impegnandosi a non votare mai alcuna legge che preveda nuove entrate fiscali. Neppure sui miliardari? No, perché nell’ideologia neoliberista del Tea Party tassare gli straricchi significa «penalizzare gli investitori, quindi frenare la crescita e le assunzioni». Questo è proprio il dogma che fu attaccato frontalmente da Warren Buffett nella lettera aperta pubblicata sul New York Times e ripresa da Repubblica il 17 agosto. In quell’appello Buffett partiva dal suo caso personale, rivelando che la sua segretaria paga le tasse con un’aliquota del 35% sullo stipendio, mentre lui a fine anno versa appena il 17% delle sue entrate al fisco. Buffett è il numero due nella classifica di Forbes dei “Paperoni d’America” dietro Bill Gates. E’ un finanziere rispettato per la sua saggezza, come indica il nomignolo “l’oracolo di Omaha” che gli hanno affibbiato i risparmiatori (la sua holding finanziaria Berkshire Hathaway ha sede a Omaha nel Nebraska). E’ anche un progressista, che con il suo amico Gates condivide i valori di un capitalismo “illuminato”. E si chiede «perché il governo non pretende sacrifici anche da noi miliardari, mentre la middle class sta sopportando tutti gli oneri del risanamento dei conti pubblici». Buffett ha attaccato il dogma della destra sull’effetto anti-crescita di una tassa sulle plusvalenze finanziarie: «Per me o per i miei colleghi miliardari – dice – escludo che un progetto d’investimento sia mai stato approvato o scartato per considerazioni puramente fiscali». L’anomalia che Obama intende correggere con la “regola Buffett” ha radici antiche. Contrariamente a quel che si crede non fu solo George Bush a varare generosi sgravi d’imposta per i più ricchi. L’aliquota secca del 15% sugli hedge fund, per esempio, risale al democratico Bill Clinton e al suo ministro del Tesoro Robert Rubin, legato a filo doppio con Wall Street (fu ai vertici di Goldman Sachs e Citigroup). Una delle più autorevoli analisi sulla crisi americana, il saggio “Winner-Take-All Politics” di Jacob Hacker e Paul Pierson, dimostra come le nuove diseguaglianze siano il prodotto di politiche fiscali regressive, cioè che operano una redistribuzione dal ceto medio verso i più ricchi. Contro Obama c’è anche lo scetticismo di alcuni economisti, che gli ricordano come i supermilionari siano solo lo 0,3% dei contribuenti americani, cioè appena 450.000 su 144 milioni di dichiarazioni dei redditi. In caso di bocciatura della destra, però, il presidente ha già  pronto un cavallo di battaglia per l’elezione del 2012: la destra populista del Tea Party, al dunque si schiera coi poteri forti di Wall Street e contro l’americano medio.


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