Pd e radicali ribelli, espulsione congelata Bindi: bizzarro far decidere Bersani

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ROMA – Onorati i vincoli del contratto economico (non è una metafora) i radicali per il Pd sono diventati un problema. E viceversa. Marco Pannella dice degli alleati democratici che sono dei «poveracci. Un partito vuoto di idee». Dario Franceschini, Rosy Bindi, Beppe Fioroni vorrebbero invece cacciare la pattuglia radicale dal gruppo parlamentare del Pd. O meglio avrebbero piacere che se ne andassero loro, con le proprie gambe. A suggello di un’incompatibilità  manifesta. Il non voto sulla sfiducia a Saverio Romano da parte dei sei deputati pannelliani è solo l’ultima goccia di un vaso stracolmo di diffidenza e reciproca disistima.
I radicali non sono stati espulsi dal gruppo democratico come aveva paventato Franceschini mercoledì sera, dopo il voto sul ministro indagato per mafia. Una riunione del gruppo ha deciso di passare la palla alla direzione nazionale del partito. Il malessere ha finito per contagiare quasi tutti i dirigenti per il Pd portandoli a litigare tra di loro. La Bindi ha attaccato il capogruppo senza nominarlo: «Trovo bizzarro che il gruppo rinvii la decisione al partito visto che i radicali non ne fanno parte». I radicali sono un corpo estraneo nel Pd. Autosospesi dal gruppo già  nel 2010, seduti all’ultima fila dei banchi democratici nell’aula di Montecitorio, la distanza si è accentuata negli ultimi mesi quando il partito di Pannella e Bonino ha ricevuto l’ultima tranche del finanziamento pubblico garantitogli dal Pd alla vigilia del voto del 2008. Un regolare contratto pubblicizzato in tutte le salse: i radicali hanno portato un pacchetto di voti alla causa della vocazione maggioritaria, il Pd gli ha riconosciuto un corrispettivo.
Ma la distanza politica non è certo una questione di soldi. In questo senso Franceschini ha le sue ragioni: «Dobbiamo affrontare un nodo politico, quello del rapporto tra noi e loro». Fosse per lui il cordone sarebbe già  tagliato. Gli ex Ppi non amano Pannella, la Bindi idem (criticò duramente la candidatura della Bonino nel Lazio). Tocca a Bersani però decidere. Al segretario del Pd e al leader dei radicali Pannella. Che non hanno mai avuto un incontro a quattr’occhi. Alcuni deputati hanno scritto una lettera aperta per chiedere la cacciata. Fioroni, con una battuta, dice: «I radicali? E rendiamoli liberi». Francesco Boccia, che sembra parlare a nome della segreteria, smorza i toni: «Non ci sarà  nessuna espulsione. È bene discutere con loro, anzi andava fatto prima». Ma il matrimonio è destinato a naufragare così senza rancore. Osserva Pannella: «Bersani parla spesso di alleanze, di Idv, Sel, socialisti, ambientalisti. Mai una parola sui radicali». Dice la verità , il partito di Largo Argentina è sparito dall’orizzonte democratico. Va solo sancita la separazione. Senza i traumi di una purga.


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Comunque vada a finire la vicenda del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, Matteo Renzi ha già segnato un punto a suo favore. E non tanto per il risultato, abbastanza prevedibile, ottenuto nelle primarie del Pd: oltre il 46 per cento dei consensi fra gli iscritti, staccando di otto punti il più diretto concorrente, Gianni Cuperlo.

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