L’addio di Di Pietro alla sua Idv: sarò militante

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ROMA — Se il complicatissimo calcolo non è errato, il regno è durato la bellezza di cinquemilacinquecentoquarantacinque lunghissimi giorni. Quindici anni che hanno attraversato ben cinque legislature. Era cominciato il 21 marzo 1998, in quello che il sito dell’Idv — nell’apposita sezione «Storia: l’Italia dei valori dagli inizi a oggi» — ricorda come «un incontro sereno, consapevole e fortemente proiettato sul futuro». Ed è finito ieri. Quando Antonio Di Pietro, a quasi diciannove anni dalla celebre scena in cui si levò la toga abbandonando la magistratura, ha dismesso anche i panni di leader del suo partito.

Via dagli organigrammi dell’Italia dei valori. E via, per sua stessa scelta, anche il nome dal simbolo. Ci sarà ancora, dice lui, «ma come semplice militante». E «con l’orgoglio che ha contraddistinto il nostro percorso», ha tenuto a precisare, «continuerò a portare avanti le battaglie per la legalità, la giustizia e la democrazia».

L’addio di Di Pietro alla leadership dell’Idv è stato accompagnato da un colpo di scena. Che, probabilmente, neanche l’ex pm si aspettava. Nella sfida per la successione, i settemila e passa aficionados — che ieri mattina si sono presentati ai gazebo o hanno espresso la propria preferenza online — hanno scelto Ignazio Messina, ex responsabile Enti locali del partito, consegnandogli un sorprendente 69,11 per cento dei suffragi. Lo sconfitto, che era lo strafavorito della vigilia, è Niccolò Rinaldi, sulla cui candidatura erano confluiti gli altri tre candidati iniziali, e cioè Matteo Castellarin, Antonio Borghesi e Nicola Scalera.

Un curriculum particolare, quello di Messina. Palermitano di nascita, classe ‘64, ital-valorista della primissima ora, poi portavoce del partito siciliano, il nuovo segretario dell’Idv ha nel suo palmares una candidatura alla Camera finita male (non eletto nella circoscrizione Sicilia nel 2001) e soprattutto un mezzo ribaltone. Mezzo.

Perché nel 2004, quando si candida a sindaco di Sciacca alla testa di un’alleanza tra la sua lista civica, Rifondazione Comunista e i Verdi, e non passa il primo turno, al ballottaggio Messina decide di dirottare i suoi voti sul candidato di Forza Italia. Voti che, tra l’altro, si riveleranno determinanti per il successo del berlusconiano.

Acqua passata. Oggi il neo-leader dell’Idv dice che «questo Paese ha ancora bisogno di noi, di un partito grande e vivo». Un partito che però, sottolinea a più riprese Messina, «non può prescindere da Antonio Di Pietro, che ringrazio per tutto ciò che ha fatto e che desidero al mio fianco nel nuovo incarico che ho l’onore di ricoprire». Segue il messaggio ai militanti: «Se siamo qui, nonostante le difficoltà che abbiamo vissuto, lo dobbiamo a lui».

«Lui», e cioè Di Pietro, ci sarà da militante. I casi di Razzi e Scilipoti, lo scandalo del suo fedelissimo Maruccio alla Regione Lazio, l’inchiesta di Report e pure quel Beppe Grillo che — prima di scaricarlo — lo aveva proposto come capo dello Stato. Acqua passata. Come i cinquemilacinquecentoquarantacinque giorni del suo regno. Finito ieri.

Tommaso Labate


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