Pensioni e taglio Irap, manifesto delle imprese

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MILANO — La risposta delle imprese al governo, quella che qualcuno già  chiama una «contromanovra» per la crescita, sarà  presentata oggi dai leader di Confindustria Emma Marcegaglia, dell’Abi Giuseppe Mussari, di Rete Imprese Italia Ivan Malavasi, dell’Alleanza cooperative italiane Luigi Marino e dell’Ania Fabio Cerchiai. Il documento, con tanto di numeri e misure concrete, porta quindi la firma di un ampio arcobaleno del mondo produttivo, dalle industrie alle banche e assicurazioni fino a cooperative, artigiani e commercianti.

Dopo le tensioni sui mercati e le critiche all’esecutivo, il mondo delle imprese presenta adesso le sue proposte, sulla base del «manifesto delle imprese per salvare l’Italia» che Marcegaglia aveva anticipato nei giorni scorsi avvertendo il governo: ora concretezza o stop al dialogo. Secondo le prime indiscrezioni, cinque sono i punti principali del documento, una ventina di pagine in tutto: previdenza e spesa pubblica, riforma fiscale, cessioni di beni pubblici ai privati, liberalizzazioni e infrastrutture&energia. Il capitolo del Fisco, per esempio, vedrebbe tutti uniti — dagli industriali ai commercianti fino agli artigiani — nella lotta all’evasione fiscale. Tra le misure proposte, a quanto sembra, il limite massimo di 500 euro alle transazioni in contanti. Restando in campo fiscale, il documento congiunto dovrebbe proporre una patrimoniale tra lo 0,1% e lo 0,15% — ogni anno e non una tantum — corredata da alcune esenzioni. E ancora: meno tasse per i lavoratori e le imprese (con un intervento sull’aliquota più bassa dell’Irpef e con l’obiettivo di eliminare l’Irap); la conferma degli incentivi per l’edilizia e l’efficienza energetica; e la legge delega da attuare in tempi rapidi.

Sul fronte della previdenza, il «manifesto delle imprese» di oggi proporrebbe di portare le pensioni di anzianità  a una sorta di «quota 100» (somma dell’età  anagrafica e contributiva) già  dal 2012, con in più il vincolo di avere a curriculum almeno 40 anni di contributi. Insomma, chi ha 62 anni d’età  e 38 di contributi dovrebbe aspettarne altri due prima di guadagnare il diritto all’assegno previdenziale. Dovrebbe trattarsi di una revisione generale delle pensioni di anzianità  (sempre più a maglie strette), con l’obiettivo di garantire la sostenibilità  del sistema previdenziale. Resterebbe poi il limite dei 65 anni nelle pensioni di vecchiaia, con la parificazione tra uomini e donne. Inoltre, per chi può andare in pensione — mettiamo — già  a 62 anni, avendone alle spalle 40 di contributi, sarebbe prevista la possibilità  (su scelta personale) di lavorare ancora qualche anno e a versamenti zero per l’Inps: i contributi a carico del lavoratore si trasformerebbero in stipendio, quelli a carico delle aziende resterebbero nelle casse dell’impresa. Tra le altre probabili misure del «manifesto»: la privatizzazione dei servizi pubblici locali; la liberalizzazione dei servizi professionali; e un’Authority per le infrastrutture che vigili, per esempio, sulla trasparenza degli appalti.

Intanto, in vista del convegno dei giovani industriali a Capri, il presidente Jacopo Morelli ha detto: «Non inviteremo politici sul palco», ma «solo ad ascoltare»; basta «passerelle».


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