Referendum-boom, firme a quota 380 mila

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ROMA – Primo bilancio del referendum contro la legge porcata: 380 mila firme raccolte quando mancano 17 giorni alla scadenza. Al comitato si nasconde a fatica l’entusiasmo. Mancano “solo” 120 mila consensi, diciamo 170 mila per essere sicuri che tutti gli autografi vengano riconosciuti validi dalla Cassazione. «Il risultato è a portata di mano», ammette Andrea Morrone, professore di diritto costituzionale e uno degli estensori del quesito. Domani i referendari avranno finito il lavoro di raccolta dei dati sul territorio e comunicheranno il primo risultato parziale. Una cifra ufficiale o semi-ufficiale. Che però sembra garantire ossigeno alla volata finale.
Morrone per il momento si è limitato a consultare i partiti e le associazioni impegnate nei banchetti per avere dei numeri da loro. Questi sono i risultati. L’Idv di Di Pietro ha raccolto 160 mila firme sfondando l’obiettivo iniziale di 150 mila ben prima del giro di boa. Sinistra e libertà  ha raggiunto quota 60 mila. Grande lo sforzo dei Democratici, l’ex Asinello: 100 mila firme per un marchio sparito da tempo. Ma non a caso ormai questa battaglia è conosciuta come il referendum Parisi. La struttura ormai collaudata di Mario Segni dichiara 60-70 mila firme raccolte. Siamo ben oltre metà  dell’opera. «Ma non è il momento di abbassare la guardia», avverte Morrone. Anzi.
Decine di comitati civici e di sigle minori affiancano nella battaglia per le 500 mila firme i partiti più grandi e i promotori più esposti come Arturo Parisi e Antonio Di Pietro. Raccolgono adesioni il piccolo Pli, l’Unione popolare, un gruppo di fuoriusciti dall’Udc che non condivide la scelta terzopolista di Casini (e pare abbiano nel cassetto già  10 mila firme). Ora scatta il soccorso di Futuro e libertà  dopo il via libera ufficiale di Gianfranco Fini alla festa di Mirabello domenica. E ci sono chiari segnali che arrivano dal Pdl. Hanno annunciato la loro firma Carlo Vizzini, Antonio Martino, Paolo Guzzanti. Adesioni a titolo individuale ma in grado di spezzare la cappa che avvolge il Pdl inchiodato sulla difesa della legge elettorale esistente.
Resta il mistero sul ruolo del Partito democratico. Le feste del Pd ospitano tutte o quasi tutte i banchetti referendari. Ce n’erano anche a Pesaro nella piazza gremita per il comizio finale di Pier Luigi Bersani. «Ma il Pd non raccoglie le firme – sottolinea Morrone -. Noi non facciamo nessun affidamento su di loro. Ci trattano da amici, come ha detto il segretario. Tutto qui». C’è però la spinta dei dirigenti democratici. Parisi in testa, poi Romano Prodi, Walter Veltroni. A questa tiepidezza del Pd si riferiva l’ex sindaco di Roma quando l’altro giorno su Europa ha chiesto al suo partito di fare di più. Da amici a sostenitori attivi, cioè. Ma la linea di Bersani è chiara: il referendum è uno stimolo utile per togliere di mezzo il Porcellum. Però quel sistema non è il migliore per governare l’Italia.
Il referendum e non solo divide oggi il Pd e Di Pietro. Con un quesito che marcia tanto sparato, il Pd intravede quello che considera un rischio grosso: rifare l’Unione, cioè tutti sotto lo stesso simbolo nei collegi maggioritari.


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