Sfiducia a Romano Maroni: la Lega dirà  no Basta pettegolezzi

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ROMA — Anche il ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, è pronto a votare contro la mozione dell’opposizione che punta alla sfiducia individuale del collega di governo Francesco Saverio Romano (Agricoltura) per il quale la Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione di stampo mafioso. L’appuntamento è per mercoledì 28 alla Camera. Ma con largo anticipo Bobo Maroni ha voluto sgombrare il terreno «dai pettegolezzi sulla Lega», confermando che stavolta la linea garantista dettata da Umberto Bossi («Ci tureremo il naso e voteremo no») non si discute: quella contro Romano — ha dunque risposto il responsabile del Viminale — «è una mozione presentata dall’opposizione, come ne sono state presentate in passato e sono state sempre respinte. Non vedo, francamente, perché non si debba fare la stessa cosa…».

A luglio, una pattuglia di deputati fedeli a Maroni fu determinante per l’approvazione della richiesta di arresto per Alfonso Papa (Pdl) e allo stesso modo, mercoledì scorso, i voti compatti della Lega sono stati necessari per salvare dalle manette Marco Milanese (Pdl), l’ex braccio destro del ministro Tremonti. La Lega ago della bilancia si è prima divisa, per Papa, e poi si è ricompattata, per Milanese, sfruttando il voto segreto che consente di nascondere almeno nelle forme dissensi interni e posizioni scomode verso la base giustizialista. Ora, però, per salvare il ministro Saverio Romano, la Lega dovrà  in ogni caso metterci la faccia: perché il voto di mercoledì sarà  palese quando tutti i deputati presenti in Aula saranno chiamati a sfilare sotto il banco della presidenza per esprimere (a voce) un sì o un no. Per questo Maroni sarebbe sceso in campo solo ora, dopo il via libera al salvataggio dato da Bossi, rivendicando poi pure la compattezza del partito: «La Lega è un movimento che ha un leader e una linea politica».

Così l’ex udc Romano può tirare un sospiro di sollievo e ringraziare la Lega, confermando quanto auspicato nella sua conferenza stampa di venerdì: «Anche io faccio la lotta alla mafia come Maroni… la sfiducia nei miei confronti è un evento che non si realizzerà ». Anche perché, aveva ricordato il ministro che è anche leader del Pid (Popolari d’Italia domani), «se i numeri sono diversi vuol dire che cambia la maggioranza e io sono il leader di un partito politico che sostiene il governo». Come dire, i quattro voti del Pid (Romano, Mannino, Ruvolo, Pisacane) hanno valore marginale a dir poco vitale per la sopravvivenza del governo.

Ma la controffensiva del ministro Romano non si ferma qui. Dopo la presentazione della sua autobiografia «La mafia addosso» — in occasione della quale ha incassato un messaggio di «stima e fiducia» firmato da Silvio Berlusconi — e la conferenza stampa in via XX Settembre sui suoi «sei mesi all’Agricoltura», lui ha trascorso la giornata di sabato occupandosi di legge elettorale («No al referendum, tocca al Parlamento fare le riforme»), delle richieste delle associazioni bieticole che reclamano il ritardo nei pagamenti dell’aiuti pubblici e della Conferenza nazionale dell’agricoltura che è sicuro di presenziare il 13 novembre a Cremona. E oggi, domenica, sarà  ospite su Raitre di In 12 ora di Lucia Annunziata.

È un’offensiva mediatica, quella di Romano, tesa a contrastare anche le ultime mosse della procura di Palermo che pochi giorni fa ha depositato in Tribunale i verbali del collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso. Se Romano deve essere processato per i suoi legami con la mafia (presunti, per ora) lo deciderà  a fine ottobre un giudice di Palermo che dovrà  cementare o sgretolare l’architrave dell’accusa: secondo la quale il ministro dell’Agricoltura «ha consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento dell’associazione mafiosa Cosa nostra, mettendo a disposizione il proprio ruolo così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso».

Tutto questo permette all’Idv di Antonio Di Pietro di continuare martellare sul caso Romano: «Come fa Maroni a dire che non c’è motivo per sfiduciare il ministro? Questa Lega venderebbe l’anima al diavolo», osserva il capogruppo al Senato Felice Belisario. E attaccano anche Italo Bocchino e Fabio Granata (Fli): «Difendendo Saverio Romano, unico ministro al mondo imputato per mafia, la Lega cambia definitivamente il suo oggetto sociale e diventa il partito della difesa dei peggiori mali del Sud». Pier Ferdinando Casini (Udc) che pure Romano ce lo ha avuto nel partito, se la cava con una battuta: «L’unico Romano che conosco è Prodi…».


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