Cene e strategie per evitare le urne Spunta l’idea di un governo Schifani

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ROMA — La fibrillazione, come è eufemistico definire l’agitazione che scuote da giorni il Pdl e l’intero Palazzo, è ai massimi livelli. Dopo il voto di fiducia superato per il rotto della cuffia la settimana scorsa, dopo le nomine di viceministri e sottosegretari che hanno fatto inferocire tutto il Pdl, dopo gli addii di Destro, Gava, Sardelli e gli avvertimenti che «se non cambiano le cose» a seguirli saranno in tanti, i big del partito corrono ai ripari.
La deadline per soluzioni diverse dal voto anticipato nel caso in cui il governo dovesse cadere — per l’ennesimo incidente, per sfaldamento, per mano di qualche palese pugnalatore — è fine ottobre. Entro questa data sarebbe ancora possibile, almeno in teoria, andare subito al voto anticipato, come Berlusconi minaccia di fare qualora gli venga a mancare la maggioranza. Dopo, con le festività  di mezzo, si dovrebbe necessariamente arrivare alla primavera per trovare una finestra utile per le urne. Con il governo in carica o un altro.
Ed è per esaminare tutti questi scenari, per capire quale potrebbe essere la via d’uscita migliore per maggioranza e governo se l’esecutivo cadesse, che negli ultimi giorni stanno susseguendosi cene a ritmo serrato. Si vedono tutti: dagli scajoliani (ieri riuniti alla Camera per fare il punto) a gruppi sparsi di deputati in ansia.
Ma soprattutto, si incontra il gotha del partito. Al riparo da occhi indiscreti, per discutere seriamente di come tessere l’eventuale rete di protezione per un governo dal quale Silvio Berlusconi fosse costretto a fare il fatidico passo indietro.
Sussurrano i bene informati che lunedì, alle dieci di sera, si sarebbero incontrati nel cuore dei Parioli — all’hotel Duke di proprietà  della famiglia del coordinatore pidiellino del Lazio Alfredo Pallone, l’uomo passato alla storia per aver provocato l’esclusione della sua lista dalle Regionali poi vinte dalla Polverini — pezzi da novanta del Pdl come il segretario Alfano, il coordinatore Verdini, il capogruppo Cicchitto, Maurizio Lupi e il presidente del Senato Renato Schifani. Cena ristrettissima, con l’uomo che — raccontano nel partito — da seconda carica dello Stato avrebbe i gradi giusti per tentare di dar vita ad un governo che — partendo dall’attuale maggioranza — la allarga all’Udc e con il sostanziale via libera del resto dell’opposizione guida la transizione fino almeno alla primavera, se non oltre. Per fare la legge elettorale, varare qualche riforma strutturale necessaria per far quadrare i conti. E per dare tempo al Pdl di riorganizzarsi e presentarsi al voto con una nuova alleanza guidata magari da Angelino Alfano, visto che la discontinuità  con il governo Berlusconi è la condizione tassativa chiesta da Casini per qualsivoglia intesa.
Scenari complessi e complicati, che comunque sono esaminati seriamente negli incontri che si susseguono, si fissano, si disdicono. E si smentiscono. Giurano infatti di non essere stati alla cena, almeno non tutti insieme, sia Schifani (da palazzo Madama spiegano che «Era a Palermo»), sia Verdini («Se qualcuno si è visto, non mi ha avvertito: ero a Firenze»), sia Cicchitto.
Quello che però è certo è che, per ieri sera, allo stesso hotel e alla stessa ora Alfano aveva invitato gli stessi presunti commensali di quella di lunedì, più altri big del Pdl (tra i quali La Russa e Gasparri). A tavola era previsto sedessero una decina di plenipotenziari del partito, ma all’ultimo momento l’appuntamento è saltato. Ufficialmente, per concomitanza con la festa di compleanno di Beatrice Lorenzin (che festeggia i suoi 40 anni). Forse, anche perché l’evento — da riservato quale doveva essere — era venuto alla luce. E l’idea di passare per congiurati davvero non va giù a nessuno.
«Noi — spiega un esponente della stretta cerchia berlusconiana — stiamo verificando tutte le soluzioni possibili in caso di crisi, che peraltro non è affatto detto che ci sia. E tra queste l’ipotesi di Schifani è quella che appare più solida. Ma sia chiaro, ogni scenario è realizzabile solo se Berlusconi si convince che può essere quello giusto. Nessuno di noi, tantomeno i vertici del partito, farebbe nulla senza il suo consenso». E a complicare il quadro c’è il puzzle degli incastri: che farebbe la Lega in caso di crisi? Sosterrebbe davvero un eventuale governo tecnico aperto ai centristi? E l’opposizione a quel punto potrebbe affidare a un fedelissimo di Berlusconi la guida del Paese rimanendo alla finestra?
Interrogativi senza risposta al momento, ma che ai vertici del Pdl devono necessariamente porsi nel caso in cui «la situazione precipiti». E la via crucis del decreto sviluppo potrebbe accelerare i tempi del chiarimento. Sempre che il governo non continui a prendere tempo: «Per evitare di andare sotto — scuote la testa uno dei dissenzienti del Pdl — questi sono capaci di non presentarlo più…».


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