Debito a basso costo e welfare pesante così siamo finiti al centro della tempesta

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new york – «Il debitore Italia deve alle banche francesi 416 miliardi di dollari. Il debitore Francia deve alle banche italiane solo 50,6 miliardi di dollari». In questo abnorme squilibrio “svelato” agli americani dal New York Times c’è una chiave della crisi attuale: con l’Italia nel ruolo della grande malata che può travolgere Paesi più sani, per il solo peso dei debiti e la concatenazione che avviene attraverso i bilanci delle banche. L’eurozona è la “Perfetta Macchina del Contagio”, questa la definizione di uno dei più autorevoli interpreti della crisi attuale, Kenneth Rogoff, autore del libro “Questa volta è diverso”.
Ora per illustrare agli americani il funzionamento di questa macchina c’è il Grafico della Paura: due pagine intere del New York Times dedicate ai debiti pubblici, dentro e fuori l’eurozona, una magnifica e terrificante rappresentazione della ragnatela d’interdipendenze che vanno dal più piccolo (Grecia) al più grande (Stati Uniti). Un grafico che spiega l’ossessivo interferire di Obama e del suo segretario al Tesoro Tim Geithner, ormai interlocutori quasi quotidiani di Angela Merkel. In prima pagina lo stesso New York Times ne rivela una delle ragioni più recenti: «Il fallimento di una sola banca franco-belga come la Dexia avrebbe coinvolto pesantemente Goldman Sachs e Morgan Stanley». Ma al centro del Grafico della Paura, in rosso, si contraddistingue l’Italia. Il più grosso dei Paesi a rischio, una nazione ben più pericolosa di tutti gli altri membri dei Piigs. Per capirlo basta il confronto tra le percentuali e i dati in valore assoluto. La Grecia ha un debito pubblico ben più alto del nostro in percentuale: 166% del Pil. Ma in valore assoluto (misurato dalla dimensione della sua “sfera rossa” a rischio di default sovrano) quel debito pubblico si riduce a pochi spiccioli perché commisurato a un Pil di soli 300 miliardi di dollari. Viceversa, il debito italiano è il 121% di un Pil da 2.100 miliardi di dollari: ecco perché la sfera rossa che raffigura l’Italia si dilata come una stella Supernova in via d’implosione.
L’analisi della Tempesta Perfetta che incombe sul Continente parte fin dalle origini, ovvero «Tutto cominciò con l’euro, una moneta unica la cui adozione nel 1999 consentì ai Paesi più poveri come Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e Grecia di ottenere prestiti agli stessi tassi ridotti che i mercati offrivano alla ricca e parsimoniosa Germania, anche se l’inflazione nei Piigs era più alta». Di qui si passa all’inizio del disastro. Esemplificato nel fatto che la Grecia, al riparo dell’euro, ha «costruito un Welfare State generoso, i cui debiti non avrebbe potuto ripagare». Donde l’inevitabilità  di un default greco, a cui i creditori dovranno soggiacere accettando una «rasata di capelli»: pochi mesi fa si parlava di perdite contenute al 21% del valore dei bond, ora è più probabile che si arrivi al 50%. E poi? Il Grafico della Paura spiega agli americani le prossime puntate della crisi. La prima è il Default Greco. La seconda è la Fuga dei Capitali: da tutte le altre nazioni a rischio d’insolvenza, Italia inclusa, sarà  un fuggi fuggi verso l’ultimo rifugio di stabilità , la Germania. Che cosa accelera il passaggio dalla prima alla seconda fase? Il ruolo del sistema bancario. Si è parlato molto della fragilità  delle banche francesi, ma il Nyt attira l’attenzione anche su quelle italiane: hanno 837,5 miliardi di dollari di esposizione verso gli Stati a rischio default. Sono dati ufficiali della Banca dei regolamenti internazionali. Significano che gli investimenti in bond a rischio di svalutazione, detenuti da banche italiane, valgono il 41% del Pil del nostro Paese.
Visti sotto un’altra angolatura, questi portafogli di titoli pubblici a rischio-default detenuti dalle sole banche italiane superano ampiamente la dotazione attuale del fondo salva-Stati. Il terzo capitolo dell’analisi è intitolato “France Next?” e si snoda così: «Il governo italiano, a malapena solvente, non è in grado di proteggere le sue banche di fronte a una crisi di sfiducia. A quel punto le banche francesi, appesantite a dismisura con ogni sorta di titoli pubblici italiani, vacillano a loro volta. E questo produce perdite ben oltre il Vecchio continente». Eccoci di nuovo al caso-Dexia, al più recente campanello d’allarme che ha scatenato l’attivismo di Obama e Geithner, le loro ripetute pressioni sulla Merkel. Quel che è accaduto durante le giornate in cui la banca franco-belga sembrava sul punto di fare crac (prima che intervenissero i rispettivi governi per nazionalizzare), ha dimostrato che Wall Street non resisterebbe alle ondate di contagio, di fronte al default di grosse aziende di credito dell’Europa continentale. Salvare l’eurozona diventa anche un imperativo per evitare una nuova ricaduta della crisi globale, e americana in particolare. D’altronde gli stessi europei furono beneficiati a suo tempo quando il contribuente americano si accollò l’onere del salvataggio di Aig: le banche europee ricevettero allora 30 miliardi di dollari di aiuti pubblici Usa. Ma adesso di che entità  è lo sforzo finanziario che si chiede alla Merkel? Sono cifre che fanno tremare perfino una potenza come la Germania: 1.300 miliardi di euro di aiuti agli Stati in difficoltà , secondo le stime del New York Times, «sono più di metà  di tutto il Pil tedesco».


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