In coda per il corpo di Gheddafi nella cella frigorifera del mercato

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MISURATA — Il corpo del nemico ucciso mostra chiaramente segni di violenza: prima picchiato, trascinato, linciato, quindi mostrato alla folla a riprova definitiva che davvero non può più nuocere. Un antico rito barbarico si è consumato contro i resti mortali di Muammar Gheddafi. Non è strano che ora le Nazioni Unite intendano avviare un’inchiesta. «Ci sono due video — ha detto il portavoce dell’Alto Commissario ai diritti umani —. Uno che lo mostra vivo e uno che lo mostra morto. E ci sono quattro o cinque versioni diverse su cosa è accaduto fra quei due video».
Ma c’è un problema aggiuntivo per i dirigenti della rivoluzione in Libia: non riescono a mettersi d’accordo tra loro sulle modalità  della sepoltura. Difficoltà  che mettono l’accento sulle potenziali lacerazioni politiche del futuro. Se non sono in grado di trovare l’unanimità  in questo momento di gioia per la vittoria e la fine del dittatore, cosa faranno quando dovranno decidere le sorti del Paese?
Il risultato immediato è che il cadavere di Gheddafi resta insepolto, sporco di sangue, impolverato, adagiato su di un materasso da quattro soldi in una cella frigorifera del «Mercato africano», un complesso di palazzine e baracche dove prima si vendeva la carne alla periferia di Misurata. Lo abbiamo visto senza difficoltà  ieri nel primo pomeriggio. «Giornalisti? Benvenuti! Venite a vedere i resti del criminale. Dite al mondo che abbiamo vinto», esclamano felici i guerriglieri di guardia ai cancelli. Per una volta, anche i più religiosi dalla barba folta arrivati direttamente dalle brigate della Cirenaica legate al fronte del fondamentalismo non si scompongono se si ricorda loro che per la legge coranica un morto va seppellito entro le prime 24 ore dal decesso. «Per Gheddafi e i suoi figli siamo pronti a fare un’eccezione. Meglio che attendano. Occorre che prima la gente li veda morti. Ci hanno fatto troppo male per decenni. E’ giusto che la Libia si goda questa vittoria», spiegano. Salvo poi aggiungere che loro non sono «come gli americani». «Gheddafi non sarà  però trattato come Osama Bin Laden. E’ un musulmano e come tale verrà  rispettato. Non lo faremo sparire anonimo in mare. Alla fine sarà  sepolto come vuole il Corano, magari in una località  segreta vicino alla sua città  natale a Sirte», dice tra i tanti Ramadan Zarmoha, 63 anni, uno dei notabili più in vista di Misurata.
Davanti ai cancelli stanno in coda centinaia di persone. Per lo più ragazzi giovani e giovanissimi. «Vengo a vedere Muammar», dice un bambino di 8 anni arrivato con i fratelli più grandi. Ci sono numerosi guerriglieri appena arrivati dagli scacchieri di battaglia a Bani Walid e Sirte. Tanti hanno perso amici e parenti negli scontri degli ultimi mesi. I più rabbiosi sono i feriti. Abbiamo visto alcuni con le stampelle, senza gambe, farsi accompagnare a pochi centimetri dal volto di Gheddafi. E restare a rimirarlo a lungo, silenziosi, quasi increduli che l’uomo alla guida della Libia per 42 anni (molti non hanno conosciuto altro che la dittatura di Gheddafi) sia davvero quel fagotto insanguinato. «Sembra improvvisamente rimpicciolito. Quasi un piccolo pupazzo. Mi sembrava molto più alto da vivo», dice un giovane in carrozzella. E’ un commento molto diffuso. Il corpo del dittatore ucciso appare ridotto, rinsecchito. A guardalo nei dettagli ha le unghie curate, la barba rasata attorno al pizzo sul mento. Sino alle ultime ore prima della fine Gheddafi ha cercato di tenersi in ordine. Ce lo mostrano a torso nudo: coperto di tagli e ferite, sembra avere un paio di colpi d’arma da fuoco in entrata all’addome. Soprattutto ha diversi segni di tumefazione e gonfiori. Un paio di laceri pantaloni militari pendono dalla vita e si fermano alle caviglie.
Tutto diverso dal cadavere del figlio Mutassim. Lo abbiamo visto in mattinata nel container frigorifero di «campo Abad», una zona industriale posta circa a 5 chilometri di distanza dal «Mercato Africano». Nei due container vicini stanno accatastate carcasse di pecore e montoni. «Abbiamo separato Mutassim dal padre per evitare che ci fosse troppa confusione tra i visitatori», spiega il proprietario del complesso, Najmi Omar. Il corpo di Mutassim sembra comunque meno danneggiato. Alla gola mostra il foro di entrata di un proiettile sparato a bruciapelo. Un’esecuzione vera e propria. E il lobo destro del cervello è stato chiaramente sfondato, la mandibola dislocata, diversi denti rotti. Almeno altri due proiettili lo hanno colpito nella zona dello stomaco. Ma per entrambi, padre e figlio, non ci sono referti medici. «Probabilmente effettueremo le autopsie nelle prossime ore», ha detto ai giornalisti Othman al-Zintani, medico all’obitorio dell’ospedale locale.
Ma che fare di loro? Da Tripoli il premier ad interim Mahmoud Jibril va ripetendo che la «questione non era mai stata affrontata prima» e troveranno «una risposta nelle prossime ore». Il ministro del petrolio, il laicissimo ex docente di economia negli Stati Uniti Ali Tarhouni, dichiara invece alla stampa che «importa poco se Gheddafi se ne resterà  ancora in frigorifero per qualche giorno, l’importante è che tutti lo possano vedere». A Misurata i responsabili militari spiegano invece che stanno trattando con alcuni influenti capi della tribù Qadafi a Sirte per consegnare i cadaveri. «La nostra paura è che troppa pubblicità  al luogo di sepoltura possa spingere qualche vittima del regime a fare scempio dei corpi per vendetta», dicono. Non manca ovviamente il timore opposto, e cioè che qualche fedelissimo del Colonnello cerchi di trasformare la tomba in mausoleo della contro-rivoluzione. Oggi i massimi dirigenti del nuovo corso si riuniranno a Bengasi per annunciare ufficialmente la «liberazione nazionale» e l’avvio del processo democratico. Non è detto che in questa sede non vengano anche definite le modalità  delle sepolture.


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