«La nuova Libia rinascerà  sul Corano La poligamia non sarà  più un tabù»

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BENGASI — «Non c’è alcun dubbio, la legge della nuova Libia renderà  legale la possibilità  per qualsiasi cittadino di avere sino a quattro mogli come permette il Corano. Ci adopereremo perché la Sharia (la legge islamica, ndr) divenga fonte primaria della nuova Costituzione. Siamo uno Stato musulmano e non vedo cosa vi sia di strano. Per rassicurare le paure dell’Occidente, voglio aggiungere che i libici sono musulmani moderati. Non abbiamo nulla a che vedere con l’estremismo. Dunque anche la nostra interpretazione della legge islamica sarà  estremamente tollerante». Così Mustafa Abdel Jalil spiega al Corriere la sua visione per la Libia del futuro.
Ex ministro della Giustizia di Gheddafi, poi sostenitore della prima ora dei moti rivoluzionari, Jalil venne nominato in febbraio presidente ad interim del Consiglio nazionale transitorio (Cnt). I primi mesi, caratterizzati dagli esiti incerti della guerra, lo hanno visto mantenere il basso profilo: uomo del cambiamento, destinato a dimettersi alla fine dei combattimenti. Ma il suo discorso della vittoria domenica pomeriggio a Bengasi ha stupefatto non pochi dei suoi antichi sostenitori. L’aria determinata con cui avvalla la poligamia in nome di Allah, la critica all’interesse bancario liberista, la rivendicazione dell’identità  islamica nazionale, sollevano forti critiche tra gli ambienti laici del Paese. «Jalil cerca il sostegno dei gruppi legati ai Fratelli musulmani, usa la religione come argomento populista per restare in sella», è una delle accuse più diffuse. Gli stessi «circoli degli avvocati», che furono il motore primo delle sommosse tra le classi dirigenti e filo-occidentali di Bengasi, si dicono «delusi, traditi, scoraggiati». Ancora non vogliono uscire in pubblico, molti si sono ritirati dalla politica attiva sin dai tempi della presa di Tripoli. Altri stanno pensando di fondare un partito laico in opposizione al fondamentalismo religioso e nel timore che si passi dalla dittatura alla teocrazia islamica. Jalil ieri mattina ha tenuto una conferenza stampa per chiarire, puntualizzare, rassicurare. Questo è il riassunto delle sue risposte in un incontro col Corriere e durante lo scambio allargato con gli altri media a Bengasi.
Come può rassicurare la comunità  internazionale? I suoi riferimenti alla legalizzazione della poligamia e alla centralità  della Sharia nella prossima Costituzione sollevano forti timori in Occidente.
«Il mio riferimento alla Sharia non significa che noi aboliremo tutte le leggi, semplicemente cambieremo quelle che contraddicono l’Islam. Per me la poligamia è stata solo un esempio, come del resto l’accenno ai futuri regolamenti contro il principio del tasso d’interesse sul denaro prestato dagli istituti di credito. Questo è un principio che viene dall’Islam e dunque non è negoziabile. La via islamica è dividere perdita e profitto, si tratta di un valore fondamentale della nostra vita sociale. Sia ben chiaro che non faremo alcun compromesso sui dettami della nostra santa religione. Ogni Costituzione si basa su di un sistema di valori che parte dall’alto verso il basso. Per noi prima viene la legge islamica, poi la Costituzione con le sue indicazioni di massima e infine arrivano le leggi specifiche e dettagliate. Sulla questione dei matrimoni, è chiaro che per noi musulmani è possibile avere più di una moglie. E ciò sarà  in Libia».
Il tema è controverso. Negli ambienti laici c’è addirittura chi ricorda che negli ordinamenti legiferati durante la dittatura di Gheddafi il marito può prendere altre mogli (sino a quattro) solo dopo l’approvazione delle precedenti. Ora non ci sarebbe più bisogno di tale permesso. Jalil si limita a ribadire che «comunque i libici sono musulmani moderati, non c’è spazio per estremisti fondamentalisti». E aggiunge: «Comunque tutto ciò verrà  definito nella Costituzione, prevista dopo le prime elezioni tra otto mesi. E la Costituzione dovrà  venire approvata da un referendum nazionale. Il processo politico è già  cominciato, in un paio di settimane sarà  formulata la composizione del prossimo governo ad interim».
È personalmente d’accordo per un’inchiesta sulla morte di Gheddafi?
«Su richiesta della comunità  internazionale ci stiamo adoperando per un’inchiesta accurata sulle circostanze della sua morte. Verrà  stabilito se sia spirato per uno scambio a fuoco tra le nostre truppe e le sue, oppure per altri motivi».
Avrebbe preferito venisse preso vivo e processato?
«Avrei voluto vederlo in tribunale. Per lui sarebbe stata un’agonia infinita. Sia ben chiaro che gli unici interessati a una morte veloce di Gheddafi sono stati i suoi famigliari e sostenitori».


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