«Non paghiamo il debito»

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 ROMA.  «Tutti quelli che stanno in questa sala rimandano al mittente la lettera che la Banca centrale europea ha mandato al governo italiano». Questo è il punto «discriminante» emerso dall’assemblea che si è tenuta ieri mattina a Roma al teatro Ambra Jovinelli dove oltre un migliaio di persone tra sindacalisti, attivisti dei movimenti sociali e militanti dei partiti politici si sono incontrate per dare corpo all’appello «Dobbiamo fermarli». L’incontro di ieri ha segnato la nascita di uno spazio politico pubblico, indipendente e senza alcun interesse elettorale, che si è posto l’obbiettivo di opporsi, «senza compromessi o accordi concertativi», al governo delle banche e ai diktat economici imposti dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale. Quattro ore di interventi – aperti da Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom – durante le quali hanno preso parola sindacalisti (Fiom, sindacati di base), attivisti, studenti (Atenei in rivolta), femministe, rappresentanti politici (Prc, Sc, Pcl, Rdc), intellettuali, ambientalisti. Tutti decisi a «Non pagare il debito».

Che cosa indichi concretamente quello che «non vogliamo che rimanga solo uno slogan» se lo sono chiesto da più parti. L’hanno domandato i delegati sindacali che da lunedì torneranno «tra i lavoratori». Alla domanda ha provato a rispondere anche Paolo di Vetta della rete Roma Bene Comune che ha parlato «di esercitare sovranità  nei nostri territori e sul reddito che ci spetta e che ci libera da un lavoro senza diritti». «Noi il debito non lo paghiamo», quindi, è il punto sul quale concentrarsi nei prossimi mesi «anche dal punto di vista teorico con l’elaborazione di una nuova critica dell’economia» ha spiegato Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista. Ciro Pesacane del Forum Ambientalista prova a ribaltare la prospettiva ricordando la necessità  «di rivedere il nostro modello di sviluppo». Sul che cosa significhi, invece, la costruzione di uno spazio politico pubblico, ha parlato Fabrizio Tomaselli dell’Unione sindacale di base che ha affermato come «dovremmo ragionare su tre livelli – politico, sindacale e sociale – che non sono sovrapponibili ma che possono porsi obbiettivi comuni». E se il mondo del lavoro si è dato come «discriminante» l’accordo «dei sindacati complici» del 28 giugno, nella discussione di ieri hanno tracciato linee direttive anche le istanze provenienti dall’universo migrante o da quello delle donne. Applaudito anche l’intervento di Alex Zanotelli che, non potendo essere presente di persona, ha partecipato con il proprio appello contro le spese militari. E infine l’informazione e «la libertà  del web, essenziale per la battaglia per l’egemonia» ha ricordato Jacopo Venier di LiberaTv. Tra i presenti anche Vittorio Agnoletto e Giulietto Chiesa .
Così alla fine sono stati riconfermati per alzata di mano i cinque punti dell’appello che ha dato vita all’assemblea: non pagare il debito, tagli delle spese militari, giustizia nei posti di lavoro, difesa dei beni comuni, riaffermazione della democrazia. Da domani si tratterà  di diffonderli e di approfondirli con assemblee nei territori, ha affermato tra gli applausi Nicoletta Dosio del movimento No Tav della Val di Susa. Prossimo appuntamento a dicembre per tornare a confrontarsi in un’altra assemblea. Ma prima, il 15 ottobre, in piazza con lo striscione «Noi il debito non lo paghiamo».


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