Ma Giulio già prepara la resa dei conti “Discutano pure, tanto alla fine decido io”
LA REALTà€ ha due facce. Ci sono Berlusconi e i ministri del Pdl, convinti di essere riusciti a «commissariare» Tremonti. E c’è lui, il ministro sotto processo. Che di questo presunto «commissariamento» si fa beffe e spiega agli amici che «il ministro Romani farà l’elenco di tutte le proposte sul tavolo e poi dovrà comunque riferire a me».
Ma la verità è che il decreto sviluppo, il salvagente che dovrebbe tenere a galla ancora qualche mese il governo giustificandone la sopravvivenza, resta un miraggio. Tanto che, annunciato per metà mese, slitterà ora almeno al 20 ottobre. Solo sul braccio di ferro per la Banca d’Italia sembra essersi aperto uno spiraglio nella contesa tra palazzo Chigi e il ministro dell’Economia, visto che è spuntato il nome di Giuliano Amato tra le candidature contrapposte di Saccomanni (voluto da Berlusconi) e Grilli (voluto da Tremonti).
Nel lungo vertice di ieri a palazzo Grazioli, dedicato alla crescita, il Cavaliere non è comunque venuto a capo di niente. Si è deciso di abbandonare l’impostazione di micro-interventi di semplificazione e sburocratizzazione. «Non servono, nessuno se ne accorgerebbe. Ci vuole una frustata». Meglio concentrarsi su 2 o 3 iniziative «che si vedano». Campi d’azione individuati da Paolo Romani, il coordinatore del lavoro: energia, Tlc, infrastrutture, internazionalizzazione delle imprese. «Ma non c’è una lira, su questo Tremonti è stato chiaro», ammette sconsolato un ministro. La situazione, al momento, è senza uscite. Anche perché la strada suggerita ieri da Umberto Bossi durante un summit a Montecitorio, alla presenza di Tremonti, Berlusconi e Letta, è apparsa subito impraticabile. «Per me – ha buttato lì il capo del Carroccio lasciando tutti di stucco – l’unica è mettere le mani sull’oro della Banca d’Italia. Andiamo a vedere quanti lingotti gli sono ancora rimasti dopo l’ingresso nell’euro». L’assalto ai caveau di via Nazionale è sembrato eccessivo. Torna quindi in primo piano una vecchia idea del premier, rilanciata ieri da Fabrizio Cicchitto: il condono. Anzi, i condoni, quello edilizio e quello fiscale. Nonostante la contrarietà del ministro dell’Economia, che anche ieri ha ripetuto che «l’Europa non li vuole, non possiamo portarli a riduzione della spesa corrente perché sono entrate una tantum», il premier alla fine è sempre lì che va a parare. Tanto da aver già chiesto alla sondaggista Alessandra Ghisleri di testare l’impatto di un eventuale condono sull’opinione pubblica e alla Ragioneria di fargli sapere quanto gettito si potrebbe ricavare da una sanatoria di massa.
L’incontro di pugilato prosegue, nonostante la passeggiata in Transatlantico organizzata a sorpresa da Berlusconi con Tremonti per smentire dissapori con il ministro dell’Economia. Intanto il primo round è proprio il ministro dell’Economia ad esserselo aggiudicato. La stretta da 7 miliardi per l’anno prossimo, in sostanza i maxi-tagli ai ministeri della Difesa e delle Infrastrutture, dovrà essere contabilizzata nel disegno di legge di stabilità in arrivo la prossima settimana. E Tremonti è sicuro di aver portato a casa il risultato, nonostante le proteste degli interessati. «La legge di stabilità – spiegano dall’Economia – metterà in tabelle il pareggio di bilancio. Questo ci chiedeva l’Ue e la Bce e questo sarà fatto». Quanto all’incarico di «coordinamento» sul decreto sviluppo affidato a Romani, Tremonti non ci vede alcuna diminuzione del suo ruolo. Semmai, osservano fonti vicine al ministro, a dispiacersene saranno stati più Roberto Calderoli e Renato Brunetta, che a quel posto aspiravano.
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