Missioni, imprevisti e funerali Accuse a ribelli e responsabili

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ROMA — La faccia del premier, bisogna guardare la faccia. Come fucili gli occhi dei deputati sono puntati sul viso di Berlusconi, sul collo che oscilla come un pendolo, sulle palpebre a fessura che cercano risposte nel tabellone luminoso. «Che succede?». Il Cavaliere è terreo, quasi smarrito. Guido Crosetto, che gli siede davanti, si volta e gli porge l’amaro calice: «Per un voto siamo andati sotto, 290 a 290». Berlusconi rimane immobile per qualche eterno secondo, poi si alza e, scivolando verso l’uscita senza proferire parola, s’imbatte in Tremonti. Il superministro, che non ha fatto a tempo a votare il «suo» rendiconto, è lì in prima fila, ultimo scranno. Il premier gli sfiora le spalle stizzito e gli sventola sotto il naso, minaccioso, i fogli con i tabulati del voto, che contengono il lungo elenco degli assenti.

Berlusconi esce dall’Aula al braccio di Cicchitto, sguscia in corridoio e schiva l’impatto fisico con l’ex ministro Andrea Ronchi, appena giunto da un funerale. Quindi trova riparo nella sala del governo, dove più tardi affronterà  Tremonti. Nell’emiciclo, intanto, è il caos. «Il premier se ne va, vergogna!» si sgola il pd Quartiani, mentre dai banchi delle opposizioni gridano «Dove vai? Rimani qui!». Il centrista Galletti dice che mai nella storia si è assistito a una «situazione tanto anomala». Ed è quanto aveva detto, tra gli applausi e i cori «dimissioni!», il capogruppo pd Franceschini: «La maggioranza parlamentare non esiste più. Berlusconi vada al Quirinale». È quello che ripetono il dipietrista Donadi («Andate a casa!») e il finiano Della Vedova: «Per un voto siete sotto…».

Alessandra Mussolini esce come una furia: «Se è vero che Scilipoti non ha votato lo prendo a calci nel sedere. Deve restituire tutto quello che ha avuto». Ma è Tremonti l’uomo nero del Pdl, il convitato di pietra dei capannelli che si assemblano e si sfaldano nervosi. È a lui che il presidente della commissione Difesa, Edmondo Cirielli, grida in faccia «ti devi dimettere». Il ministro si difende e spiega che dietro la sua assenza non vi è alcuna «ragione politica». In tempo reale l’esultanza delle opposizioni trova sfogo su Facebook. «Cari amici — annota il segretario d’aula del Pd, Roberto Giachetti — vedere Berlusconi con lo sguardo da pugile suonato è una perla che non ha pari…». Per la minoranza Giachetti è l’eroe del giorno. È lui che ha ordito l’agguato, lui che ha imboscato tre «kamikaze» tra il primo e il secondo voto. La sequenza è da brivido e comincia quando il governo, alle 16 e 40, schiva il patatrac per due soli voti. Nel centrosinistra monta la rabbia, parte la caccia agli assenti. Bersani, nervoso, si accende un sigaro in cortile. In Aula intanto troppi pidiellini latitano, Gioacchino Alfano e Massimo Polledri prendono la parola per perdere tempo e Cicchitto fa partire gli sms di richiamo. Arriva il premier, giusto in tempo. Ma Tremonti, dov’è? E Scajola? E perché mai Bossi è ancora fuori che parla coi cronisti? Ecco, si vota. Al segnale di Giachetti i democratici «imboscati» — Rosato, Boccia e Tocci — sbucano dai rispettivi nascondigli, si fiondano in Aula e premono il pulsante del no. «La Camera respinge», comunica Rosy Bindi che in quel momento presiede la seduta. «Il governo ha avuto la sfiducia del Parlamento», sentenzia il repubblicano Giorgio La Malfa. Il leghista Giancarlo Giorgetti ha ben chiara la gravità  dell’accaduto e chiede di sospendere i lavori. E Fini, con tono che vorrebbe essere neutro: «Credo che la sua richiesta debba essere accolta, viste le evidenti implicazioni, anche di carattere politico, che il voto ha testé manifestato…».

Gli assenti, dunque. Bossi e un altro leghista, Bragantini. Nel Pdl mancavano in 17, compresi Frattini (in missione) e tre seguaci di Scajola: non c’era Giustina Destro, la De Camillis era in Molise e Testoni al gabinetto. Scajola approda in Aula solo a frittata bella e fatta. Un deputato del Pdl sbeffeggia Katia Polidori: «In missione? Sai che ridere». E gli ex «responsabili»? In cima alla lista nera finisce Pionati: «Nessun mistero, sono in Molise». Porfidia «è malato», lo assolve Verdini. Guzzanti ha accompagnato la figlia in ospedale. E Pippo Gianni? «Pressione alta, ma non mancavo solo io». L’assenza di Mimmo Scilipoti fa notizia, lui però non è turbato. E mentre Verdini accredita la tesi dell’«incidente di percorso», Stracquadanio sospira serafico: «Il governo è caduto».


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