“No al doppio incarico sindaco-parlamentare”

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ROMA – Dovranno lasciare almeno una delle due poltrone. Adesso lo impone anche una sentenza della Consulta, che ha dichiarato incostituzionali le norme del 1953 che prevedevano la sola ineleggibilità  e non anche la incompatibilità  le cariche di parlamentari e amministratori di grossi centri. Ma sei deputati e quattro senatori che da almeno tre anni sono sindaci di Comuni con più di 20 mila abitanti (nel grafico la lista completa), preparano barricate attorno allo scranno.
Sono tutti del centrodestra: nove pidiellini e un leghista. Sono uno dei simboli del partito chi non si dimette mai. Leader indiscusso, il primo cittadino di Catania (300 mila abitanti) e senatore pdl Raffaele Stancanelli. Il ricorso accolto dalla Corte Costituzionale nasce proprio dal suo doppio incarico ed era stato promosso dal deputato Pd siciliano Tonino Russo assieme al militante Salvo Battaglia: «Per sanare un vulnus che si è aperto col caso di Diego Cammarata, sindaco di Palermo ed ex deputato col quale dal 2001 il Pdl ha avviato una prassi illegittima». Tanto la giunta delle elezioni della Camera quanto quella del Senato, la prossima settimana si riuniranno per dare attuazione al pronunciamento della Consulta. Ma nulla è scontato in Parlamento, perché in questi anni, a maggioranza, gli organi interni di autogoverno hanno giudicato compatibili sindaci dei grandi Comuni e perfino i presidenti di Provincia. Approfittando di una interpretazione estensiva della legge. E adesso, come sottolinea il presidente della giunta del Senato, Marco Follini, si tratterà  di capire se la sentenza non possa essere applicata anche ai presidenti delle Province, pur non citati. In quel caso, ai dieci sindaci si affiancherebbero undici parlamentari che ricoprono quella carica. Sono i deputati pidiellini Maria Teresa Armosino (Asti), Luigi Casero (Napoli), Edmondo Cirielli (Salerno), Antonio Iannarilli (Frosinone), Antonio Pepe (Foggia); i leghisti Daniele Molgora (Brescia), Ettore Pirovano (Bergamo), Roberto Simonetti (Biella); l’Udc Domenico Zinzi (Caserta). E il senatore pidiellino Cosimo Sibilia (Avellino). Tra i sindaci invece c’è un caso controverso, l’undicesimo, sul quale dovrà  pronunciarsi la giunta: riguarda Giuseppe Firrarello, alla guida del Comune di Bronte, di un soffio inferiore alla soglia dei 20 mila.
Cosa accadrà  adesso? Dimissioni in massa? Non sembra, a sentire alcuni dei diretti interessati. «Non ne so nulla» taglia corto a ore di distanza dal pronunciamento il senatore Azzollini, che è sindaco di Molfetta ma anche presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama. Tripla poltrona. «Dimettermi? Quando la sentenza sarà  pubblicata in Gazzetta ne riparleremo, adesso non ho nulla da dire, mi scusi». Se è per questo, cade dalle nuvole anche l’«incompatibile» numero uno, il sindaco di Catania Stancanelli: «Non conosco la sentenza, in ogni caso il Tribunale di Catania dovrà  adesso prenderne atto e valutare. Io ritengo sia giusto rimanere sindaco, ma non vorrei fare una scelta non giuridicamente corretta, magari dimettermi da una cosa e poi decadere dall’altra. Voglio capire». Prende tempo il sindaco di Catanzaro, il pidiellino Michele Traversa: «Al momento opportuno, quando me lo chiederanno, deciderò se fare il sindaco oppure il parlamentare». Il primo cittadino Pdl di Brescia, Adriano Paroli, se proprio costretto opterebbe per la fascia tricolore: «La mia qualità  di vita personale ne gioverebbe». Il Pdl li difenderà  ancora? A sentire il vicecapogruppo Osvaldo Napoli, presidente Anci, sembrerebbe di no. «La regola esisteva già , il Parlamento ha dato l’opportunità  di proseguire il mandato fino a scadenza, la Consulta chiarisce che non va bene». Ma nelle giunte tutto potrebbe tornare in discussione.


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