Renzi lancia la sfida a Bersani Nasce l’asse con Chiamparino

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FIRENZE — Ha fama di ragazzo freddo, lucido e, per sua ammissione, arrogante e antipatico. Ma al secondo giorno del «Big Bang» alla stazione Leopolda, Matteo Renzi mostra un altro volto: «Ho un guazzabuglio di emozioni nel cuore, sono inondato di messaggi in cui le persone mi chiedono di non deluderle… Questo sentimento di responsabilità  mi emoziona e mi ingarbuglia la vita».
Ottomila persone e 300 tra giornalisti e cameramen hanno già  varcato la soglia della convention che si chiuderà  oggi e i contatti online si contano in centinaia di migliaia. Numeri che mettono alla prova i nervi di Pier Luigi Bersani. Da Napoli il segretario attacca e Renzi, che pure non voleva scivolare sulla «polemicuccia» di giornata, risponde. Provoca, satireggia, fa tabula rasa di decenni di timore reverenziale nei confronti del leader: «Non siamo mica qui a schiacciare i punti neri alle coccinelle, come direbbe il nostro guru Bersani…». E ancora, offeso con chi lo ha trattato da ragazzino di bottega: «Io non scalcio, non sono un asino, sono abituato a camminare ma non a fare la fila dietro ai capicorrente. E non vorrei passare la giornata a rispondere al segretario».
Non si metterà  a «disposizione», non rinuncerà  a dire la sua sulle questioni cruciali, anche «quelle che fanno male», come pensioni o licenziamenti. Non romperà , assicura. Ma nemmeno si rassegnerà  a rinunciare alle primarie, pure se Bersani decidesse di farsi incoronare unico candidato premier dall’assemblea nazionale del Pd. Ma per ora Renzi è costretto a coprire le sue carte. Il fuoco amico lo ha preso di mira, i luogotenenti di Bersani lo accusano di «tafazzismo» e il regolamento delle primarie, notoriamente invise a Casini, può riservare insidie sconosciute. Il sindaco vuole azzeccare i tempi e si mostra prudente: «Non sappiamo se le primarie si faranno, quando e con quali regole, ignoriamo se si voti nel 2012 o nel 2013… Vi fo un cartello? Non c’è una candidatura di Renzi, c’è una candidatura delle nostre idee».
Parlano in cento. Studenti e professori, scrittori come Edoardo Nesi e Alessandro Baricco, amministratori locali e mamme lavoratrici. Cinque minuti ciascuno «da premier» per scrivere il programma del Wiki-Pd, il partito virtuale che ha messo in crisi quello ufficiale. I democratici ribelli, gli «eretici» di spessore come Sergio Chiamparino, Arturo Parisi e Graziano Delrio, sono accolti come eroi coraggiosi. E adesso il suo popolo chiede a Renzi di sciogliere la riserva e «metterci la faccia».
La corsa, seppure non formalmente, è aperta. E Chiamparino getta il cuore oltre l’ostacolo: «Io candidato? Se nessun programma mi convincesse potrei decidere di aggiungermi». L’ex sindaco di Torino ricorda che, se suo malgrado si trova «in pensione», è perché Bersani non gli ha «mai chiesto nulla». Ripete che «il Pd stenta a trovare un’anima» e che nel parito «c’è malessere», un disagio trasversale che Renzi si può intestare. Gli chiedono se davvero abbia pensato di correre in ticket con Renzi e lui non smentisce: «Vedremo…». Che tutto sia ancora possibile, persino una corsa a due con il leader dei «rottamatori», Chiamparino lo fa capire anche dal palco, sommerso dagli applausi: «Metto a disposizione la mia esperienza senza voler fare il numero uno».
Fuori l’ingresso è bloccato dalle proteste. Ci sono i comunisti con le magliette «Renzi, il sindaco che la destra ci invidia» e ci sono i lavoratori del trasporto pubblico. «Sono meno di cento» minimizza, ma si vede che i cartelli contro il «Big Bluff» gli bruciano dentro. E quando gli girano l’affondo di Vendola, che lo ha definito «più vecchio» di lui e di Bersani, va giù duro: «È più giovane mandare a casa il governo Prodi, come ha fatto Nichi quando io andavo ancora all’università ?».
Franceschini ha lanciato su Twitter un messaggio di apertura e in sala si notano uomini di Letta e Fioroni. Ecco il parisiano Recchia, la bersaniana Vittoria Franco, l’ecologista Realacci, il veltroniano Vassallo, l’ex radicale Giachetti, i senatori Marcucci e Bosone. E c’è Parisi, che fa il pieno di applausi quando loda Renzi per aver «alzato la mano trovando il coraggio di dire io». Un gesto che ha rottamato la tradizione del «noi», cara ad ex Pci ed ex Dc.
Tra i moderati serpeggia la preoccupazione che Renzi sia «il Grillo della destra» e non è un caso che alla Leopolda ci sia poco mondo cattolico. In compenso arriva a sorpresa Pippo Civati, l’ex amico che con Renzi aveva animato la Leopolda 2010. Dice di essere venuto per «incollare i cocci», ma l’accoglienza del sindaco è fredda: «Oh ragazzi, ci vuole un po’ di senso delle proporzioni… Il problema dell’Italia non può essere il rapporto tra Matteo e Pippo».


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