Stranieri esclusi dal servizio civile, ricorso per discriminazione

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MILANO – S.T., 26enne nato in Pakistan, vorrebbe fare il servizio civile. Ma non può, perché è riservato solo agli italiani. Eppure un po’ italiano si sente, visto che è arrivato nel Belpaese 15 anni fa, qui si è diplomato e ora frequenta l’università . Ha deciso pertanto di non arrendersi e ha presentato al Tribunale di Milano un ricorso per discriminazione contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, da cui dipende l’Ufficio nazionale per il servizio civile. Con lui si sono schierati la Camera del Lavoro e la Cisl di Milano, Asgi e Avvocati per niente. Il ricorso è stato presentato il 20 ottobre dagli avvocati Alberto Guariso, Livio Neri e Daniela Consoli.

Nel mirino dei tre avvocati c’è il bando del 20 settembre 2011 per la selezione di 10.481 volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all’estero, che all’articolo 3 prevede come primo requisito per i candidati quello di essere cittadini italiani. Secondo i legali è un requisito discriminatorio e anacronistico perché ora il servizio civile non è più legato all’obiezione di coscienza quando la leva militare (fino al 2005) era obbligatoria. Oggi il servizio civile “viene svolto su base esclusivamente volontaria -scrivono i legali nel ricorso-, e rappresenta un’autonoma, libera modalità  di contribuire alla tutela dei diritti della persona, all’educazione alla pace dei popoli, alla solidarietà  e cooperazione a livello nazionale ed internazionale e si è dunque affrancato definitivamente tanto dall’obiezione di coscienza quanto dal servizio militare”.

Per sostenere che il bando per il servizio civile è discriminatorio, i legali partono dall’articolo 2 della Costituzione: “La Repubblica (…) richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà  politica, economica e sociale”. “L’articolo 2 della Costituzione, escludendo qualsiasi riferimento allo status di cittadino -sostengono Alberto Guariso e Livio Neri- si rivolge evidentemente alla più ampia schiera dei consociati, chiamati tutti a concorrere solidalmente al benessere della collettività  che vive sul territorio nazionale e della quale essi fanno parte”. E citano i casi dell’Emilia Romagna e della Toscana, che hanno istituito un servizio civile regionale aperto anche agli stranieri. Pertanto “una volta ricondotto il servizio civile nell’ambito del dovere di solidarietà  -aggiungono i due avvocati-, che certamente vincola i consociati e non i cittadini, cade immediatamente il motivo primario a favore della tesi della esclusione degli stranieri”.

L’esclusione dei giovani stranieri dal servizio civile costituisce una “disparità  di trattamento del tutto priva di giustificazione”.Si tratta infatti di “giovani di seconda generazione o comunque lungo-residenti in Italia (come nel caso del ricorrente) che, confinati nella condizione di “stranieri” da una risalente legge sulla cittadinanza, aspirano ad un pieno inserimento nella società  italiana -si legge sempre nel ricorso- e cionondimeno sono esclusi da una forma di partecipazione alla vita collettiva che va ormai assumendo una dimensione significativa (si tratta ogni anno di 10.000/20.000 giovani l’anno, o anche più, a seconda delle disponibilità  finanziarie)”.

Gli avvocati di S.T. chiedono al Giudice la riapertura del bando o di ricorrere alla Corte Costituzionale “affinché venga valutato in quella sede il contrasto tra detta esclusione e gli artt. 2 e 3 della Costituzione”. E c’è un precedente che potrebbe aprire le porte del servizio civile agli stranieri. Nel 1999 la Corte Costituzionale ha stabilito che il servizio militare era un obbligo anche per gli apolidi. I tempi sono cambiati, ma un dovere di concorrere al bene della società  rimane per tutti. Motivo in più per permettere oggi a un giovane pakistano di dare volontariamente il proprio contributo al Paese in cui vive. (dp) 

 

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