Un messaggio contro la recessione: il Nobel a due studiosi della crescita

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NEW YORK – Germania e Francia fanno fronte comune per salvare le banche: sarà  una “buona notizia” ma ci riporta dov’eravamo esattamente nel 2008. In America gli economisti si dividono in due clan: quelli che prevedono una ricaduta nella recessione, e quelli convinti che non ne siamo mai usciti. Frenano perfino la Cina e il Brasile, le due ultime locomotive della crescita, sia pure rallentando per effetto di deliberate politiche anti-inflazione.
In questo panorama il premio Nobel per l’Economia sembra una prova di “ottimismo della volontà “, o forse un augurio scaramantico, un modo per gettare il cuore oltre l’ostacolo. Il comitato del Nobel ha scelto quest’anno due americani: Thomas Sargent docente alla New York University, e Christopher Sims che insegna a Princeton. In comune, hanno lo studio degli effetti delle politiche economiche sulla crescita. In particolare, il modo in cui la riduzione delle imposte o le manovre sui tassi d’interesse possono rianimare l’economia. I lavori di Sargent e Sims durano da decenni. Una parte del loro merito sta nella ricerca di una migliore qualità  delle statistiche. La costruzione di dati attendibili è un passaggio indispensabile per misurare correttamente gli effetti di trasmissione fra le mosse dei governi e delle banche centrali, e le reazioni dell’economia reale.
Lo stesso Sims ieri ha interpretato così l’assegnazione del Nobel: «Il nostro lavoro è rilevante per quei paesi che devono reagire alla stagnazione, e hanno i bilanci pubblici decimati per i costi della crisi bancaria». Di fronte a domande sulla loro ricetta anti-recessione, però, Sims ha dovuto ammettere di non avere consigli specifici da dare ai governi. Se ci aspettavamo che il Nobel indicasse il nuovo John Maynard Keynes, sarà  per un’altra volta. La scienza economica non sembra sul punto di partorire una nuova “rivoluzione copernicana”, come quella che consentì di rispondere alla Grande Depressione degli anni Trenta ribaltando il dogma del pareggio di bilancio e adottando le teorie keynesiane sulla spesa pubblica come volano della crescita. Eppure mai come ora si sente il bisogno di un nuovo Keynes. Lo stato dell’economia è miserevole, ci ricorda l’analisi dell’Economic Cycle Research Institute: l’unico centro di analisi ad avere azzeccato sistematicamente tutte le recessioni degli ultimi 15 anni (le avrebbe previste anche prima, fu fondato solo 15 anni fa ma una simulazione retroattiva ha confermato la validità  dei suoi metodi per periodi più lunghi). Il direttore di questo istituto, Lakshman Achuthan, è convinto che “se non siamo ancora dentro la recessione del 2008, stiamo per ricaderci”. Vede come probabile un rialzo della disoccupazione, verso “tassi a due cifre” (attualmente negli Stati Uniti è il 9,1% della forza lavoro). Goldman Sachs prevede una nuova recessione anche per le due economie più forti dell’eurozona, Germania e Francia. Da Barack Obama al suo banchiere centrale Ben Bernanke, i massimi responsabili della politica economica americana sono convinti che la crisi dell’eurozona può far deragliare la ripresa mondiale.
In questo clima, ha deluso il fatto che il Nobel non sia andato a due teorici della crescita come Robert Barro e Paul Romer, candidati da molti anni. Una loro specialità  è l’analisi dei legami fra innovazioni tecnologiche e sviluppo economico: un tema avvincente, tornato al centro del dibattito pubblico in occasione della morte di Steve Jobs. Quanti Jobs, quante Apple ci vorrebbero per trainare l’America fuori da questa crisi? Sotto questa angolatura, la situazione attuale viene considerata perfino peggiore degli anni Trenta. Nel bel mezzo della Grande Depressione l’America sfornò innovazioni a non finire: furono inventate la tv e il nylon, cominciò la diffusione di massa di elettrodomestici come il frigo e la lavatrice. Oggi con tutto il rispetto per Jobs, i suoi iPhone non hanno un impatto altrettanto potente. Gli unici due settori ad aver visto aumentare l’occupazione in America sono la finanza e la sanità . Due settori parassitari: i banchieri hanno distrutto ricchezza collettiva, il settore sanitario aumenta il suo fatturato non per la qualità  delle cure mediche ma per il rigonfiamento di costi amministrativi legati alle inefficienze. L’impatto di Apple ha un’alta visibilità , ma è circoscritto al distretto hi-tech della Silicon Valley, o all’occupazione operaia nelle fabbriche cinesi che assemblano gli iPhone.


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