Uno strano «complotto» iraniano

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 Un complotto ordito dall’Iran per uccidere l’ambasciatore dell’Arabia saudita negli Stati uniti e attaccare le ambasciate saudita e israeliana a washington. Non importa che l’accusa sia più o meno credibile o che l’Iran smentisca: ciò che importa è che è stata lanciata. E ora cresce: «E’ chiaro che ufficiali di alto livello della forza Qods sono coinvolti», ha dichiarato ieri il portavoce della casa bianca Jay Carney, dicendo che Washington continuerà  a «lavorare con gli alleati per isolare l’Iran».

Riassumiamo. Martedì due iraniani sono stati formalmente incriminati presso un tribunale distrettuale di New York con l’accusa di aver preso contatto con un’organizzazione criminale messicana, il cartello del narcotraffico Zeta, per commissionargli l’uccisione dell’ambasciatore saudita. Uno dei due, Mansoor Arbabsiar, è un cittadino naturalizzato statunitense e ha doppio passaporto (ed è agli arresti); l’altro, Gholam Shakuri, è cittadino iraniano e sarebbe un «ufficiale delle Forze Qods», un corpo speciale delle Guardie della Rivoluzione. L’atto di incriminazione cita altri imputati, di cui non è stato rivelato il nome.
Il ministro della giustizia (Attorney general) degli Stati uniti, Eric Holder ha dichiarato che il complotto è stato «concepito, sponsorizzato e diretto dall’Iran». Ieri la Casa Bianca ha rincarato: precisa che nel piano di uccidere l’ambasciatore saudita sono coinvolti «alti membri della forza Qods» e che l’Iran ne sarà  ritenuto responsabile. Il portavoce ha aggiunto una frase di rito: gli Usa «non escludono nessuna opzione» nei confronti dell’Iran. E in primo luogo studieranno nuove sanzioni.
La notizia di un complotto per uccidere l’ambasciatore saudita ha ovviamente suscitato grandi condanne, e in primo luogo nella penisola arabica – che verso l’Iran non è mai stata tenera. L’Arabia Saudita, che ha una storica competizione verso la Repubblica islamica, dice che tehran «pagherà  il prezzo» del suo complotto. Il segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo, Abdulatif al-Zayani, ha condannato il complotto e detto che «danneggia seriamente le relazioni tra i paesi del Golfo e l’Iran».
Tehran respinge le accuse, definite «favole» . Ieri l’ambasciatore iraniano presso l’Onu a New York ha indirizzato al segretario generale Ban ki Moon una lettera di protesta per le false accuse.
Suscitare l’animosità  saudita verso l’Iran non è difficile. Bisognerà  vedere però quali prove reggono l’accusa: ieri il direttore del Fbi, Robert Mueller, ha descritto in una conferenza stampa un complotto molto complicato, raccontando di pedinamenti e ascolti internazionali, soldi del narcotraffico messicano, abboccamenti con un esponente del cartello Zeta che era in realtà  un informatore dell’ente antidroga degli Stati uniti.
Molti esperti di cose iraniane si dicono però scettici. Un piano simile non rientra nel modus operandi delle forze Qods o dei servizi di intelligence iraniani; omicidi di oppositori all’estero sono avvenuti in passato (ma sempre oppositori iraniani, non stranieri) e si sono fermati nella seconda metà  degli anni ’90 quando a tehran è salito il governo Khatami. Soprattutto, non è chiaro quale vantaggio politico l’Iran potrebbe trarre facendo uccidere un diplomatico saudita – proprio mentre il paese è sotto pressione per i diritti umani, per le sanzioni che cominciano a lascoare il segno, e mentre a tehran è in corso una lotta di potere. «Sulla base di un’analisi costi-benefici», argomenta Mohammad Sahimi, analista basato in California, il complotto non si spiega. A meno che sia stata opera di «elementi deviati», come ieri suggerivano (all’agenzia Reuter, e in via anonima, funzionari del governo usa). Ma resta poco chiaro cosa gioverebbe anche alle fazioni più oltranziste di Tehran un complotto tanto esotico.


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