C’era una volta il Fronte sandinista Adesso c’è solo Daniel Ortega

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 C’era una volta. C’era una volta il Nicaragua sandinista. Che non è quello in cui nelle elezioni presidenziali di oggi, con ogni probabilità  e stando ai sondaggi, vincerà  di nuovo Daniel Ortega, il presidente uscente e il più popolare dei sandinisti di allora.

Quel Nicaragua era nato dopo che la guerra di liberazione costrinse alla fuga precipitosa Anastasio Somoza, l’ultimo della dinastia dei famosi «figli di puttana» (ma «nostri figli di puttana», come recita la celebre frase attribuita al presidente Usa Franklin D. Roosevelt) che per oltre 40 anni aveva fatto il bello e il cattivo tempo; era nato dopo la trionfale entrata a Managua del Fsln nel luglio del ’79. Il Nicaragua sandinista sembrava destinato a diventare «la seconda Cuba». Sembrava anche che il virus della rivoluzione, o almeno della liberazione, potesse espandersi in altri paesi della desolata America centrale e fra le isolette dei Caraibi: nel Salvador del Fmln, nel Guatemala della Urng, fino al Panama del «generale della dignità » Omar Torrijos, perfino nell’isoletta di Granada dove il giovane Maurice Bishop aveva preso il potere in quello stesso ’79. A Managua si respirava un aria ebtusiasmante fra il rosso-nero delle bandiere del Fronte e il vero-olivo delle divise dei guerriglieri. I giovani comandanti sandinisti divennero estremamente popolari fra la sinistra internazionale e i giovani «sandalisti» – sacco a pelo e sandali – sbarcavano a frotte all’aeroporto intitolato a Sandino. Tutti sapevano tutto sulle tre correnti del Fronte – la Guerra popular prolongada del marxista ortodosso Tomas Borge, i Proletarios del trotzkista Jaime Wheelock, i Terceristas di Daniel Ortega -, Gabriel Garcia Marquez aveva scritto un memorabile articolo su Eden Pastora, il Comandante Zero, che aveva attaccato il parlamento somozista con dentro tutti i deputati. Ma durò poco. Carter perse la rielezione e alla Casa bianca arrivò Ronald Reagan. E con lui la sua «rivoluzione conservatrice», la «guerra sporca» affidata ai «contras» per stroncare il Nicaragua sandinista (e il Salvador e il Guatemala e Panama e Granada…) e fermare il virus.
Ortega vinse facile le prime elezioni presidenziali dell’84 ma poi perse a sorpresa quelle del ’90, che Fidel Castro gli aveva sconsigliato di tenere nel mezzo di una micidiale guerra civile, con un’ inflazione del 30000 per cento e sotto l’attacco Usa. Vinse la signora Violeta Barrios de Chamorro e Ortega rispettò il risultato.
Da allora Ortega si è ripresentato a ogni tornata elettorale e finalmente, nel 2006, è riuscito a tornare alla presidenza. Ma il Nicaragua – e non poteva essere diversamente – non è più quello «originario». Il mondo è cambiato. Il Fronte sandinista è sempre lì, frantumato in mille pezzi ma cementato dal potere, però è un’altra cosa.
Stando alla costituzione, Ortega oggi non si potrebbe ricandidare – consentendo solo due mandati non consecutivi -, ma grazie a una sentenza compiacente della Corte suprema nel 2009, è di nuovo lì. I sondaggi lo danno sul 50%. L’opposizione «liberale» è divisa e il suo concorrente più vicino, Fabio Gadea, un ex contra quasi ottantenne, è sul 30%.
Ortega, in connubio con la moglie Rosario Murillo, ex-femminista molto discussa e ministro delle comunicazioni, è stato abile: è riuscito a dividere l’opposizione, a stabilizzare l’economia (quella più cresciuta in Centro America nel 2010), ad avviare una serie di programmi sociali che gli garantiscono l’appoggio degli strati più poveri, a guadagnarsi il sostegno degli imprenditori, a superare l’antica ostilità  della potente chiesa cattolica (il suo grande nemico di un tempo, il cardinale Obando y Bravo, oggi in pensione, è diventato un amico), ad avere le lodi dell’Fmi e della Banca mondiale che indicano il «suo» Nicaragua come un modello di riforme «market-friendly» e un posto sicuro per gli investimenti, a mettere a frutto (non solo a suo profitto personale…) l’alleanza con il generoso venezuelano Hugo Chavez. Come recita il suo slogan – «socialismo, cristianesimo, solidarietà » – è riuscito a mettere insieme tutto e il contrario di tutto. E’ così che il Nicaragua è il paese «socialista» in cui, dal 2006, è probito ogni tipo di aborto, anche quello terapeutico che vigeva dal 1837, e Rosario Murillo ha potuto celebrare «il miracolo, il segno di Dio» della nascita di una bambina figlia di una … bambina di 12 anni, un’indigena miskito vittima di uno stupro.


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