Di Pietro ci ripensa, è sì

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Bersani: voto non «lontanissimo». Ma Follini: Monti per noi è come un congresso, la linea è cambiata ROMA
Di Pietro dice sì. Pier Luigi Bersani gli ha ripetuto l’appello, che però è anche una mezza minaccia: «Ci sono passaggi dove ognuno si prende le proprie responsabilità . Spero e ritengo che Di Pietro e l’Idv possano ripensarci. In ogni caso, prima viene l’Italia, poi le alleanze». Ma più della rottura dell’alleanza, più della valanga di critiche, Di Pietro deve prendere atto, per la prima volta nella storia del suo partito, di essere in netta minoranza nei gruppi parlamentari, che si riuniranno stamattina alle 11 prima del voto della camera. All’improvviso l’ex pm si ritrova completamente solo. La sua solitudine ha la faccia accesa di Francesco ‘Pancho’ Pardi che va a stringere la mano del neosenatore Mario Monti quando in mattinata fa il suo primo ingresso nell’aula di Palazzo Madama. Gesto semplice e plateale, quello di Pardi.
Così nel pomeriggio, da Bari, l’ex dice sì a Super Mario: non una fiducia al buio, «prima di conoscere chi sono i componenti del governo, qual è la coalizione che l’appoggia ed il programma». Nell’esecutivo Bersani chiede «una forte componente tecnica, ma senza escludere componenti politiche». Tradotto: esperti ai ministeri, ma anche qualche politico meno esposto (per il Pd si parla di Giuliano Amato, presidente di Italianieuropei), e poi sottosegretari indicati dai partiti che ci stanno, manuale Cencelli alla mano.
Di Pietro si adegua: «A Monti come persona ed economista dò e darò tutto l’appoggio possibile di un partito vero che vuole che faccia riforme e ridia credibilità  all’istituzione». Di Pietro mette i paletti, come ha già  fatto Nichi Vendola: « Se è vero che i mercati non possono aspettare, Monti potrà  fare quegli interventi di urgenza che non devono essere macelleria sociale. Però ci deve essere chiarezza sui tempi entro cui andare alle elezioni con una nuova legge elettorale». L’Idv ha raccolto le firme sul referendum per il ritorno al Mattarellum. Una consultazione che starebbe molto a cuore anche al presidente della Repubblica.
Quanto ai «tempi chiari», invece, Bersani è cauto. Anche Vendola chiede elezioni in primavera: «Difficile dire quanto dura una tempesta. Non farei adesso questioni di tempo, bisogna vedere la visione del governo e come riesce a rispondere ai problemi», dice. Ma più tardi, al Tg1, fa un passo in più verso i ‘compagni’ del Nuovo Ulivo: «Il passaggio elettorale in ogni caso non è lontanissimo». Quanto alla patrimoniale, altro ‘paletto’ di Sel «discuteremo, diciamo che chi finora non ha contribuito deve contribuire». Bersani, la pensa come Di Pietro e Vendola, e cautamente lo dice: «La ricostruzione andrà  fatta dopo il passaggio elettorale».
La foto di Vasto si ricompone? Ma nulla è più come prima. Nel Pd gli scontenti sono molti, tutti della maggioranza che sostiene il segretario. Bersani non faceva mistero di preferire la soluzione «non pasticciata» del voto anticipato: e invece c’è Monti. Oggi Massimo D’Alema lo difende con la generosità  di chi ha vinto la scommessa: «Ha perseguito con molta determinazione e con grandissimo senso di responsabilità » il governo di transizione, «i sondaggi dicono che se si votasse domani il Pd vincerebbe. Il fatto che il Pd e Bersani rinuncino, nell’interesse del Paese, a questa prospettiva è un segno molto importante di responsabilità ».
Ma ieri al Senato le facce soddisfatte dei veltroniani, in aula per l’ultimo voto da oppositori (Monti arriverà  qui forse già  lunedì per raccogliere il primo voto di fiducia al suo governo), la dicevano lunga su quello che fra qualche settimana potrebbe succedere negli equilibri interni del partito. Intanto oggi si apre a Orvieto il seminario di Libertà  eguale, l’associazione molto molto liberal di Claudia Mancina, Enrico Morando e Pietro Ichino. Apre Mancina, ma all’inizio l’intenzione era quella di inaugurare l’appuntamento proprio con Mario Monti. Marco Follini, un uomo mite e moderato, e non ostile al segretario, giovedì alla riunione dei senatori democratici lo ha detto chiaramente: «Il voto al governo di transizione di fatto per noi è un voto congressuale. Abbiamo cambiato linea politica». Di qui al cambio di segretario, il passo non è tanto lungo.


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L’ostilità  di settori consistenti del Ppe nei confronti di Silvio Berlusconi si sta rivelando un’arma a doppio taglio. Al punto che ieri le dichiarazioni a favore di Mario Monti del capogruppo al Parlamento europeo, il francese Joseph Daul, hanno assunto i contorni se non di una gaffe, di un gesto di frustrazione.

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