I numeri della patrimoniale

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È piuttosto pericoloso partire dai dati della Banca d’Italia, che non sono di fonte fiscale e utilizzano quindi informazioni che il fisco non possiede. Quando si ipotizza il gettito di provvedimenti fiscali da varare in tempi rapidi, è ragionevole partire da ciò che il fisco già  conosce.
Per quel che riguarda il patrimonio immobiliare, cominciamo col dire che la base di partenza di un incremento del gettito sugli immobili è quella fatta dal tavolo ministeriale sull’erosione: 62 miliardi di euro sono l’erosione complessiva derivante dal mancato adeguamento delle rendite catastali ai valori di mercato e della loro mancata sottoposizione alle regole ordinarie di tassazione. Di questi 62 miliardi di mancato gettito, la metà  proviene dalle imposte dirette (Irpef e Ires), 25 miliardi corrispondono a minore Ici e la parte restante è la perdita di gettito delle imposte indirette sui trasferimenti .
Le ragioni di questo mancato gettito sono principalmente due: 1) il fatto che la base imponibile delle imposte immobiliari è la rendita catastale, che, mediamente, è circa il 30% del valore di mercato, secondo quanto a suo tempo dichiarato alla stampa dalla direttrice dell’Agenzia del territorio; 2) il fatto che i redditi, presunti o effettivi, da patrimonio immobiliare sono tassati con aliquote agevolate o non sono tassati affatto (come accade, ad esempio, per gli immobili destinati ad abitazione principale).
Ovviamente, non è pensabile che questi 62 miliardi siano recuperati immediatamente anche perché (questo va ricordato) la patrimoniale è un’imposta che, non gravando sul reddito, rischia di determinare dei problemi di liquidità . La cosa più ragionevole è prevedere un avvicinamento progressivo del valore delle rendite catastali a quello di mercato, in modo che sia rispettata almeno l’equità  orizzontale. Se oggi la rendita è mediamente il 30% del valore di mercato, con qualcuno al 50 e qualcuno al 10, l’ipotesi potrebbe essere quella di portarla al 60 o al 70% per tutti. Con due precisazioni: 1) niente esenzione per la prima casa, ma solo detrazioni decrescenti al decrescere della condizione patrimoniale complessiva; 2) niente soglie: le soglie non funzionano con i patrimoni, perché sono facilmente aggirabili. Le preoccupazioni circa la progressività  (che le soglie dovrebbero assicurare) vengono meno considerando che la tassazione dei patrimoni, anche qualora avvenisse con aliquote fisse e quindi in modo proporzionale, è “naturalmente” progressiva data la concentrazione dei patrimoni nelle fasce ricche della popolazione.
In via prudenziale, se 62 miliardi sono la perdita di gettito globale un approccio graduale potrebbe consentire di ottenere una parte di questa somma: 12,13 miliardi mi parrebbe già  un importo significativo, specialmente con tassi di crescita dell’economia così ridotti.
Per quanto riguarda i patrimoni mobiliari, si deve tenere conto del fatto che è stata appena introdotta la riforma delle aliquote di tassazione delle rendite finanziarie, il che rende improbabile il passaggio ad un sistema all’olandese (cioè, basata direttamente sul rendimento presunto dei patrimoni investiti). In effetti, il sistema di tassazione alla maturazione, su cui puntava originariamente la riforma Visco, era analogo ad un sistema di tassazione dei patrimoni, ma è stato progressivamente smantellato (oggi la tassazione è sui valori realizzati per tutte le forme di risparmio, eccetto quello gestito individuale). Tornando alla recente riforma della tassazione delle rendite finanziarie, sarebbe (stato?) possibile portare l’aliquota sulle rendite al 23%, anziché al 20, ma il gettito aggiuntivo sarebbe stato limitato, nell’ordine di 1 o 2 miliardi di euro.
In sostanza, il gettito di una patrimoniale immobiliare e di un’ulteriore revisione al rialzo delle aliquote di tassazione delle rendite finanziarie potrebbe complessivamente arrivare a 15 miliardi di euro annui. Un importo significativo, ma che va considerato nel contesto di finanza pubblica in cui ci troviamo. Va ricordato che il famoso impegno all’azzeramento dell’indebitamento nel 2013 dipende in misura essenziale dal taglio lineare delle cosiddette agevolazioni fiscali, cioè delle detrazioni da lavoro dipendente, di quelle per carichi familiari e di tutta una serie di misure fiscali che vanno nel senso della redistribuzione e della progressività . Il valore previsto di questi tagli è di 20 miliardi annui (a partire dal 2013), un importo assolutamente non credibile e di dimensioni tali da provocare un impatto sociale di segno regressivo non trascurabile. Ecco dunque che i 15 miliardi ipotizzati in precedenza si pongono come alternativa valida al taglio delle agevolazioni e non come fonte di entrate aggiuntive.
Ciò implica che la patrimoniale non può certo bastare a finanziare eventuali nuovi interventi di ulteriore correzione dei conti e che non può essere utilizzata, in questo contesto di finanza pubblica, per finanziare, attraverso la spesa pubblica, gli investimenti e la crescita.


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