Il giorno più difficile per il debito italiano Le aste a rischio e la richiesta di aiuto

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Non che su Berlusconi Lagarde e gli stessi leader europei facciano più molto affidamento. Lo si è percepito al vertice di Bruxelles di due domeniche fa, quando il premier a un certo punto avrebbe dato voce alla sua frustrazione con un’uscita per lui abituale: «I giudici mi perseguitano». Secondo un testimone, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy lo avrebbe rassicurato: «Silvio non preoccuparti, nelle conclusioni del summit del bunga bunga non vi sarà  menzione». Separatamente, anche il 44enne presidente della Bundesbank Jens Weidmann avrebbe mosso un’osservazione tagliente: «Finché c’è Berlusconi, non si riuscirà  a concludere niente».
Tutto questo scetticismo non fa che rafforzare il messaggio che molti leader avranno per il premier al vertice domani a Cannes: prima l’Italia chiede un piano di salvataggio all’Fmi — e in seguito al costituendo fondo europeo — meglio sarà  per tutti. L’organismo guidato da Lagarde, attraverso il quale anche Pechino e Mosca sembrano disposte a contribuire, si sta già  chiedendo come aiutare il governo di Roma.
Salvo svolte imminenti, la fuga dai Btp e il calendario del debito italiano sembrano in effetti lasciare poche alternative. Da lunedì le oscillazioni dei prezzi sono state violente: ha pesato l’annuncio del referendum greco, che rimette in dubbio l’ultimo accordo europeo; nelle ultime ore poi ha inciso anche la liquidazione dei titoli di Mf Global, il fondo di Wall Street in bancarotta per aver investito in bond biennali dei Paesi europei in crisi. In risposta a questi choc la Bce ieri è tornata sul mercato, in una delle giornate più intense da quando l’8 agosto sono partiti gli acquisti a favore dell’Italia. Nel pomeriggio del primo giorno di Mario Draghi al timone, la Bce ha comprato Btp a due-cinque anni per vari miliardi e in chiusura si è visto un rimbalzo dei prezzi.
Ma questi alti e bassi non bastano a dissipare lo sgradevole sospetto alimentato dalla matematica. Per finanziarsi nei prossimi mesi, ormai l’Italia ha tutta l’aria di aver bisogno di un sostegno esterno ben oltre quello offerto dalla Bce. Il Tesoro oggi ha in cassa (nel «fondo di ammortamento») circa 30 miliardi di euro, mentre molte delle sue strade abituali stanno diventando sempre più strette. L’Eurotower appare ormai riluttante a impegnare risorse in interventi che non riescono più a piegare la corrente di vendite del mercato. I collocamenti privati di bond «lunghi» a opera del Tesoro, di solito dedicati a compagnie di assicurazione, ormai si sono esauriti. Questo mese poi il Tesoro dovrebbe raccogliere fra i 16 e i 18 miliardi sul mercato, di cui una buona parte il 14 novembre in un’asta senza garanzie di successo: è previsto che vadano in vendita titoli a cinque anni per più di cinque miliardi e altrettanti a dieci anni, a integrazione di un bond già  esistente. Da giorni il Tesoro lavora perché questo appuntamento di metà  mese non sia un flop, eppure il lieto fine appare tutt’altro che scontato. Ai tassi attuali, le grandi banche estere che fanno il mercato potrebbero dimostrarsi riluttanti a comprare per una ragione concreta: se lo spread dei Btp a dieci anni salisse di oltre 450 punti base sopra la media dei Paesi in «tripla A», la carta italiana diventerebbe inutilizzabile come garanzia sul mercato di Londra. L’Italia oggi è sulla soglia di quel livello. Varcarla innescherebbe una nuova pioggia di vendite sui Btp da parte delle banche (anche) italiane e un’ulteriore accelerazione degli spread. L’Irlanda e il Portogallo nel 2010 hanno dovuto chiedere un prestito ufficiale all’Unione Europea dopo aver superato il livello fatidico.
Poi c’è il calendario del 2012, con il profilo di una montagna da scalare. Sui dodici mesi il Tesoro deve collocare titoli per 440 miliardi per rifinanziare i debiti, coprire il deficit e mantenere il funzionamento normale dello Stato. Già  nel primo trimestre si profila uno strappo: 91 miliardi di bond in scadenza, più i Bot a breve e il fabbisogno di cassa. Ma per ora i tassi continuano a salire e il rischio di un incidente sulla liquidità  risulta sempre più difficile da ignorare. Già  ai rendimenti di ieri, l’Italia sembra a un passo dal perdere l’accesso al mercato: secondo il banchiere Marco Mazzucchelli, di Royal Bank of Scotland, il Paese è in una situazione che lui definisce «di forza maggiore».
Questa è l’aritmetica che Christine Lagarde e altri leader presenteranno domani a Cannes a Silvio Berlusconi. All’Fmi non mancano gli strumenti per venire in aiuto, in modo che i mercati si convincano che il governo — qualunque governo — faccia una volta per tutte ciò di cui il Paese ha disperatamente bisogno. È possibile uno stretto sistema di monitoraggio da parte del Fondo, per cominciare. Ma soprattutto, è aperta la strada dei prestiti ufficiali: una «linea di credito precauzionale» potrebbe dare all’Italia almeno 44 miliardi subito e il doppio dopo qualche mese; resta poi possibile anche la messa a disposizione, sempre in via «precauzionale», di un programma di sostegno classico di prestiti per centinaia di miliardi. Tutto a condizione di una netta svolta nelle politiche del Paese, un’ipotesi che l’Fmi ha ben presente. Paradossalmente, la pressione su Berlusconi perché accetti il sostegno del fondo salvataggi europeo per ora invece è minore: il fondo ha infatti bisogno almeno di un altro mese per diventare operativo. La taglia del Paese e del suo debito rendono comunque difficile mettere insieme un prestito così vasto da permettere all’Italia di stare fuori dal mercato per due o tre anni come fatto per Dublino o Lisbona; potrebbero servire varie misure combinate. Certo, se la situazione peggiorasse, perdere altro tempo renderebbe alla fine l’intervento più costoso e meno efficace: l’Europa infatti garantisce solo su una parte (20-25%) di eventuali perdite e la sua assicurazione perderebbe credibilità  se si lasciasse deteriorare la situazione. L’alternativa c’è: è continuare a tenere la testa saldamente nella sabbia. Da là  sotto, il treno in arrivo non si vede.


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