Le banche, la «tentazione» bund e i 300 miliardi di Btp in scadenza

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Continueranno a presentarsi in asta, a rinnovare il nostro parco di titoli di Stato in scadenza con il rischio di veder crescere ulteriormente i «cuscinetti di capitale» indicati, oppure si orienteranno verso i bond rimasti praticamente risk free come, prima di tutto, i tedeschi bund?
L’interrogativo sarà  forse più che altro una suggestione, l’ipotesi di una «ritirata» è certo tutta da verificare. Però, dopo i calcoli realizzati dall’Eba, l’Autorità  di sorveglianza europea sulle banche, sul fabbisogno aggiuntivo di capitale per far fronte all’aumento di rischio dei titoli di debito sovrano, il timore che i nostri istituti possano «difendersi» riducendo l’esposizione in Btp non è probabilmente rimasta del tutto fuori dalla porta del Tesoro. Anche perché, secondo i dati riportati ieri nel «Rapporto sulla stabilità  finanziaria» di Banca d’Italia, i titoli di Stato presentano nei prossimi mesi scadenze ingenti e concentrate: oltre 30 miliardi in novembre, circa 20 in dicembre, con picchi tra febbraio e aprile 2012 quando in tutto scadranno titoli per quasi 140 miliardi. E, sottolinea sempre il rapporto, la quota di debito pubblico italiano detenuta da non residenti è pari al 39,2% ed è «relativamente contenuta nel confronto internazionale». Bot e Btp sono dunque soprattutto nei portafogli delle famiglie (14%), seguite da banche (12%),compagnie di assicurazioni nazionali (9,7%), fondi comuni e così via.
I nostri istituti di credito giocano una parte da leone nel meccanismo di sottoscrizione dei titoli di Stato e quindi di finanziamento e rifinanziamento del debito pubblico. Perciò se anche il meccanismo di «difesa» scattasse in minima parte il contraccolpo si farebbe sentire.
Facciamo qualche esempio, considerando i big. Unicredit, per il quale l’Eba ha calcolato sia necessario nuovo capitale per 7,4 miliardi, al 30 giugno aveva un’esposizione verso titoli di Stato italiani pari a circa 38 miliardi e per 12,5 la vita media residua è inferiore all’anno. Intesa Sanpaolo (che non ha ricevuto prescrizioni di rafforzamento) ha in portafoglio nel solo perimetro bancario (assicurazioni escluse dunque) bond nazionali per 29,04 miliardi e di questi 19,3, pari al 67% del totale, scadono entro fine settembre 2013. Montepaschi, che secondo l’autorità  europea avrebbe bisogno di ulteriore patrimonio per oltre 3 miliardi, ha in portafoglio circa 30 miliardi di nostri titoli, un miliardo scade entro un anno e 7 miliardi in due. E ancora, Ubi banca, che secondo l’Eba deve recuperare 1,5 miliardi, è esposta sul rischio italiano per 9,2 miliardi, dei quali 2,4 hanno vita residua fino a sei mesi. Il Banco Popolare, per il quale il nuovo fabbisogno è stato indicato in 2,8 miliardi, detiene titoli del Tesoro per circa 11 miliardi, dei quali 838 milioni scadono entro fine anno, 2,9 miliardi nel 2012 e 3,22 nel 2013.
Ebbene, cosa accadrebbe se tutti questi «pacchetti» non fossero rinnovati alla relative scadenze? Ipotesi di scuola, certo, ma che rende l’idea del ruolo delle nostre banche nel garantire la copertura del debito «made in Italy». Bankitalia del resto ha subito definito i dati dell’Eba «preliminari e indicativi», ed è quindi atteso il secondo round di fine novembre quando dall’Eba arriveranno i calcoli aggiornati. Fra novembre 2011 e ottobre 2012 ci saranno da rinnovare circa 300 miliardi di titoli del Tesoro. Il contributo delle banche sarà  determinante.


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