«Il premier via a momenti», la Borsa sale

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MILANO — Una giornata sull’ottovolante ieri per Piazza Affari, all’inseguimento delle voci — e delle smentite — sulle imminenti dimissioni di Silvio Berlusconi. E sempre più calda, per via degli spread fra i Btp e i Bund tedeschi pericolosamente vicini a quota 500 punti base, considerata «il punto di non ritorno», e raffreddata solo dalla Banca centrale europea, tornata ad acquistare bond italiani (e spagnoli e greci).
Il passo indietro del presidente del Consiglio, preannunciato via Internet (Twitter e giornali online) dal direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, e dal vicedirettore di Libero, Franco Bechis, ha acceso la Borsa, che è arrivata a guadagnare anche il 3% poco dopo le 12 man mano che la voce si infittiva, per poi arretrare dopo le 13 in seguito alla smentita, arrivata via Facebook, dello stesso Berlusconi. Alla fine, l’indice Ftse Mib ha chiuso in rialzo dell’1,3% in controtendenza rispetto alle altre piazze europee, con Francoforte e Parigi in calo dello 0,6% e Londra dello 0,3%. Anche Atene ha chiuso positiva (+1,71%) per l’uscita di scena del primo ministro George Papandreou per un governo transitorio di unità  nazionale. Un esito che anche i mercati hanno inseguito ieri operando a Piazza Affari. Come sempre, sono state le banche ad essere più coinvolte: hanno chiuso così in rialzo Intesa Sanpaolo (+2,84% a 1,159 euro) e Unicredit (+1,78% a 0,7915 euro), mentre ha perso il Montepaschi (-4,28% a 0,291 euro). Tra gli altri titoli del listino principale, hanno guadagnato Enel (+0,97%), Eni (+1,67%), FonSai (+3,33%) Ansaldo Sts (+2,91%), Pirelli (+2,18%), Tenaris (+2,47%), Fiat (+2,90%) e Fiat Industrial (+2,15%).
Fin dall’apertura la giornata sui mercati non prometteva bene per Milano, proprio per l’incertezza del quadro politico: attorno alle 9.30 il Ftse Mib era già  in calo del 2,5% e gli spread erano schizzati a quota 490 punti base, con rendimenti arrivati al 6,66%. Un livello che ha fatto scattare gli acquisti della Bce, preoccupata anche per le prossime aste di bond italiani. Secondo le sale operative gli acquisti sono stati tutto sommato limitati dal punto di vista quantitativo ma comunque sono continuati, come aveva già  annunciato il neopresidente della Bce, Mario Draghi. Proprio ieri la Bce ha comunicato che la scorsa settimana gli acquisti di titoli di Paesi a rischio sono raddoppiati a oltre nove miliardi rispetto agli oltre 4 miliardi della settimana precedente, anche se la forza d’urto di Francoforte è ben lontana dagli oltre 22 miliardi della prima settimana di intervento, in agosto.
Il clima caldo sugli spread, in serata attestatosi attorno a quota 487, si giustifica per le prossime aste del debito pubblico: ieri il ministero del Tesoro ha annunciato di aver cancellato il collocamento dei bot trimestrali di giovedì prossimo «per mancanza di specifiche esigenze di cassa», mentre ha confermato l’asta di bot annuali per 5 miliardi di euro, che dovranno sostituire 6 miliardi di bond in scadenza. Il giorno dopo toccherà  al Btp quinquennale, che quotava ieri pomeriggio attorno al 6,61%. E il Tesoro, come raccontano nella sale operative, è in contatto con i market maker per non far fallire l’asta, in quanto un flop sarebbe visto come un segnale di grande difficoltà  dell’Italia. E il fatto che le banche europee abbiano venduto a piene mani bond italiani (come ha comunicato nei giorni scorsi la francese Bnp Paribas) non aiuta. E molta attenzione sarà  posta al rendimento: in base alle esperienze di Atene, Dublino e Lisbona, appena 16 giorni dopo aver rotto la soglia del 6,5% si è arrivati al 7%, considerata appunto l’inizio dell’avvitamento verso la bancarotta.
E sul mercato, al di là  del destino del governo Berlusconi, si apre un altro fronte di tensione: l’oro delle banche centrali. Ieri un parlamentare tedesco della Cdu (il partito della cancelliera Angela Merkel) ha invitato l’Italia a vendere parte delle riserve auree (2.541,8 tonnellate, pari a 110 miliardi di euro) per ridurre il debito pubblico. E dal canto suo la Germania ha smentito con decisione di poter impiegare l’oro della Bundesbank per potenziare la dotazione del Fondo salva Stati Efsf, in quanto «l’oro appartiene solo a cittadini tedeschi». Un’attenzione riaccesa sull’oro che ha fatto risalire il valore dell’oncia, tornata vicina alla soglia dei 1.800 dollari.


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