Ma il Paese reagisce, produce ed esporta

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MILANO — A inizio luglio, negli stessi giorni in cui i Btp iniziavano a tremare, l’export italiano chiudeva un trimestre da «primo della classe». Le vendite all’estero, calcolate in dollari, segnavano un aumento del 28,8%, vale a dire più di ogni altro Paese del vecchio G7 (i grandi dell’Occidente) e perfino sopra la Cina. Dopo il crollo generale del 2009, alcuni distretti hanno addirittura raggiunto i livelli pre-crisi del 2008: è successo alle aziende della gomma del lago d’Iseo, alle imprese vinicole della Franciacorta e alle industrie dei metalli della Valdarno nel Varesotto, secondo i dati dell’osservatorio Banca Intesa Sanpaolo.
Ad agosto, poi, l’Istat ha certificato un nuovo incremento dell’export: +16,2% sullo stesso mese del 2010. Certo, bisogna vedere se durerà . E, purtroppo, il Pil resta ben lontano dai valori di pochi anni fa. Per non parlare della crisi nel mercato del lavoro. Ma c’è un’Italia che — al di là  di quello che si dice all’estero e di quello che si fa (o non si fa) nei palazzi della politica — corre, produce e risparmia. E — sembra quasi incredibile — batte almeno per ora la concorrenza tedesca, francese, britannica o americana.
La seconda potenza manifatturiera d’Europa — sì, siamo noi — porta a casa qualche buon voto anche agli esami dei conti pubblici. Il debito è molto alto e i tassi sui Btp lievitano verso nuovi record, ma l’avanzo primario (prima delle spese per gli interessi) stimato per il 2012 è il migliore nella classe dei pesi massimi dell’Occidente. Si va infatti dal +2,6% di Roma al -6,3% di Washington. In mezzo il +0,8% di Berlino, il -2,1% di Parigi e il -4,1% di Londra. Che vanta rating molto più alti del nostro (e un debito statale più contenuto e più «lungo» nel tempo), ma anche un deficit pubblico più che doppio (stime 2011) e un indebitamento privato di famiglie e imprese non finanziarie al 215% contro il nostro 126% sul Pil.
Eccole, le famiglie italiane. Chiamate spesso in causa quando c’è da rimettere ordine nei danni altrui, anche stavolta riescono in qualche modo a ribaltare una situazione altrimenti pesante. Nella classe delle cinque grandi economie «bianche» e industrializzate, infatti, l’Italia risulta essere tanto il Pierino quanto il secchione di turno. Un po’ cicala e un po’ formica. Il debito pubblico (sul Pil) è il più alto di tutti, ma l’indebitamento privato delle famiglie è il più basso. Meglio anche di Herr e Frau Schmidt e figli, che con il loro 61,6% tra mutui e carte di credito sfigurano di fronte al 45% dei Rossi e Bianchi del Bel Paese.
Dal debito agli «asset». La ricchezza netta delle famiglie italiane dovrebbe superare oggi gli 8 mila miliardi, quasi 8 volte il reddito disponibile e oltre 4 volte il debito pubblico.
E se la Germania ci batte sul fronte del deficit pubblico (-1,7% le stime sul Pil nel 2011 contro il nostro -3,7%), Roma surclassa — almeno per ora — le altre quattro capitali, dal -5,8% di Parigi al -9,1% di Washington. I nostri Bot e Btp hanno anche una scadenza media abbastanza lunga (7 anni). Il problema, piuttosto, è che nonostante questo il 23,5% dei titoli (disavanzo annuale incluso) maturerà  l’anno prossimo.
Il nostro Paese, ha riassunto Banca d’Italia, «presenta elementi di forza quali il contenuto livello del disavanzo di bilancio rispetto ad altre maggiori economie, il basso indebitamento del settore privato, la solidità  delle banche, il limitato debito estero».
Insomma, i francesi che ridono di noi e i britannici che ci dipingono a tinte fosche — dall’alto del loro debito privato e del loro deficit pubblico — hanno sicuramente molto da insegnare ma anche (ancora) tanto da imparare.


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