Né panico né proteste, solo rassegnazione il Paese spera nel ritorno alla normalità 

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ATENE – Nessuna corsa agli sportelli bancari. Code e ressa nei negozi griffati di Kolonaki, già  pieni in vista del Natale. Zero proteste. Salvo un centinaio di indignati ellenici che alle sette di sera, sotto una mezza luna limpidissima, bivaccano (più che manifestare) in Syntagma. L’Europa trema per la Grecia. Ma la Grecia ha ormai smesso da qualche mese di tremare per il proprio tragico destino. «Dico la verità , speravo fossimo di più», ammette Petros Panou, studente e giornalista part time con kefiah al collo, sceso in piazza per protestare contro l’acrobatico dietrofront di George Papandreou sul referendum. «Sono quattro gatti, non abbiamo nemmeno montato la nostra nuova barriera semovibile d’acciaio – scherza il poliziotto Manolis, casco sulla testa, manganello al fianco e sigaretta in bocca, in prima fila nel cordone schierato a difesa del Parlamento – . Spero solo vadano a casa presto: alle nove inizia la partita dell’Aek contro il Lokomotiv».
Così è se vi pare. Le 24 ore più folli della recente storia politica di Atene, qui sotto l’Acropoli, rischiano di andare in archivio come un altro giorno qualunque. Il governo del Pasok sta per saltare. I bond ellenici a due anni rendono il 106%. Il 94% dei tedeschi (garantisce un sondaggio di N-Tv) vorrebbe buttar fuori la Grecia dall’Europa a calci nel sedere. Ma all’ombra del Partenone non si scalda nessuno. «Alla fine cosa cambia per me? Niente – sintetizza Elisa Sioris, 41enne dipendente del colosso elettrico Den – . Mi hanno tagliato lo stipendio del 20%. Vogliono mettere in mobilità  i miei colleghi meno tutelati. Pretendono perfino che tagli la luce a chi ha non ha i soldi per pagare in bolletta la nuova patrimoniale sulle case. Papandreou o un altro, ormai la frittata è fatta».
Un centinaio di metri più in là , dentro le mura del vecchio Palazzo Reale riciclato a Parlamento, il futuro della Grecia sta iniziando a prendere forma. Il premier, troppo tecnocratico e decisionista per la base socialista del Pasok, è pronto alla marcia indietro. Al suo posto si scalda in panchina un governo di unità  nazionale, guidato (scommettono i bookmakers) dall’ex vicepresidente della Bce Lucas Papademos e puntellato dall’appoggio del centrodestra di Nea Demokratia (Nd). «Cadiamo dalla padella alla brace – commenta amaro Panou – Il referendum almeno ci lasciava l’ultima parola. Ora arriva un tecnocrate il cui unico pregio è piacere ai mercati».
Il vero problema è che il Parlamento eletto appena due anni fa, dati alla mano, è lontano mille miglia dal nuovo scenario politico del paese. «Se si votasse adesso sarebbe un terremoto» ammette Costas Panagopoulos, numero uno della Alco, la principale società  di sondaggi ellenica. L’austerity lacrime e sangue ha bruciato il patrimonio di popolarità  del Pasok, sceso al 23%. Il populismo del leader di Nd Antonis Samaras («meno tasse e meno tagli» il suo slogan, un programma facile quando sei all’opposizione) non ha pagato: il centrodestra – ritenuto da tutti il responsabile dei disastro di oggi – arranca a un 31% che non gli garantirebbe la maggioranza in caso di elezioni anticipate. I consensi in fuga sono volati verso l’astensionismo o hanno gonfiato il bacino della sinistra più estrema e della destra ortodossa. Le elezioni anticipate, insomma, rischierebbero di precipitare la Grecia nel caos. Morale: l’unica soluzione è fare buon viso a cattiva sorte.
«Il governo di unità  nazionale è il male minore per chi è già  al potere, destra o sinistra, nella speranza di rinviare a tempi migliori il giudizio della gente», dice Panou, smontando (per la gioia del poliziotto Manolis) il suo cartello bianco e rosso «Fuori l’Fmi dalla Grecia» e avviandosi verso casa.
Chi era abituato alle sanguigne proteste dei greci e agli oceanici cortei sindacali ateniesi di un tempo resta basito: «La verità  è che la gente non ha più nemmeno le energie per protestare – dice Vassilis Xenakis, responsabile relazione internazionali del sindacato dei dipendenti pubblici Adedy – Tra un mese andranno in mobilità  30mila dipendenti pubblici. Ci hanno tagliato 13esime a 14esima, ridotta del 25-30% gli stipendi, aumentato l’Iva e imposto una tassa sulla casa. Il problema oggi è riuscire a dar da mangiare ai figli. E di scendere in piazza nessuno ne ha voglia».
La disillusione ha preso il posto dell’indignazione: «Qui non è cambiato nulla – dice Eva Diamantopolou chiudendo il suo negozio di abbigliamento in Akademias – Capisco che in emergenza cerchi di recuperare i soldi dove ci sono. Ma contro i veri ricchi e gli evasori nessuno è riuscito a fare niente!».
La prova sta due passi più in là , nella vetrina della griffatissima boutique Luisa, dove fa bella mostra un paio di scarpe da donna in pelle verde tacco 18 cm., roba da far venire le vertigini a uno sherpa tibetano. «Vanno come il pane», assicura la commessa. Il prezzo? Lei non lo dice e in vetrina – un minimo di pudore resiste anche in tempo di crisi – nessuno ha avuto il coraggio di esporlo. Nel paese dove solo 5mila contribuenti su 11 milioni dichiarano più di 100 mila euro la ricchezza è invisibile.
Tra le strade strette di Kolonaki, dove su 150 medici residenti censiti dal fisco la metà  dichiarava meno di 30mila euro, le boutique di lusso stanno abbassando la saracinesca dopo un’altra giornata «più che positiva», come dicono da Luisa. Sono le otto e mezza. La Grecia è nel caos. Ma nessuno sembra essersene accorto: tempo tre quarti d’ora e, per fortuna, ci sarà  il fischio d’inizio di Aek- Lokomotiv.


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