Trieste chiama Vienna nostalgia dell’Impero “Per ritornare grandi”

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A NOVANT’ANNI dalla Grande Guerra, Trieste “italianissima” torna a guardare all’Austria per uscire dal crescente isolamento politico e commerciale. A pochi mesi dalla nomina, il nuovo sindaco Roberto Cosolini, eletto per il centrosinistra, è corso a Vienna per incontrare il suo omologo socialista Michael Haupl, e mettere in cantiere una serie di iniziative comuni forti.
Per cominciare sul piano della cultura. Era la prima volta che accadeva in forma così diretta e così “politica”. Ed è stata un’intesa cordiale che vedrà  frutti immediati: tra un anno una grande mostra viennese su “La città  di Claudio Magris” e, nel 2014, una lunga stagione di festeggiamenti triestini dedicati all’ex capitale dell’impero, con incontri dedicati alla musica, l’architettura, la psicanalisi e il commercio.
In Austria era come se non aspettassero altro. È stata sufficiente la parola “Triest” ad aprire gli uffici della Rathaus, mobilitare la giunta viennese e costruire processi operativi in un clima di amicizia e rispetto reciproco resi più solidi dalla stima di cui gode anche a Vienna il nuovo premier italiano. Trieste (che è stata austriaca per oltre mezzo millennio, dal 1382 al 1918) è stata e rimane per i viennesi una città  dell’anima, il posto familiare dove l’architettura centro-europea si affaccia sul Mediterraneo perduto. Buono il feeling fra i due Burgermeister, simili nel pragmatismo, nel gusto della tavola e nell’atteggiamento antipolitico, premessa di un rapporto duraturo con la metropoli che vanta il più alto tasso di vivibilità  in Europa. I due hanno conversato per tre ore, costruendo un buon rapporto personale davanti a una portata di bollito con “roestli” e uno gnocco salisburghese ai mirtilli.
È stato a tutti gli effetti il ritorno sui binari di un rapporto antico che ha dato alla città  due secoli di traffici e ricchezza grazie alla franchigia doganale (simile a quella di Amburgo) decisa nel 1719 dall’imperatore Carlo VI e grazie alla straordinaria rete di collegamenti via terra che l’Austria ha costruito alle spalle del porto. Un secolo fa Trieste aveva tre diverse linee per Vienna e vedeva la partenza di ben dodici treni al giorno nei due sensi. Nel 2011 è rimasta a Trieste una sola linea (le altre due sono usate solo dalla Slovenia) e l’ultimo treno diretto Trieste-Vienna è stato abolito nel 1994. È stato per sancire questo legame, ma anche per masticare fino in fondo l’isolamento dell’oggi che il sindaco triestino ha scelto di andare a Vienna in treno, affrontando otto ore e mezza di viaggio, uno sciopero Trenitalia e due cambi: uno a Udine con corriera sostitutiva e uno a Villach con l’Intercity del Semmering.
Leggere gli orari ferroviari del 1911 è deprimente se si pensa al binario morto in cui è ridotta oggi la città . Oltre che per Vienna, c’erano partenze per Fiume, Lubiana , Belgrado, Pola, Parenzo, Spalato, Ragusa (Dubrovnik), Mostar e infiniti altri luoghi. Con un solo cambio si arrivava a Praga e Cracovia in tempi non inferiori a quelli attuali. Oggi come direzioni attive sono rimaste solo Udine e Venezia: l’Italia dei collegamenti veloci finisce a Mestre, poi ti arrangi. Perfino trent’anni fa era meglio, senza Schengen e con la cortina di ferro di mezzo. Da Trieste andavi in “wagon lit” a Belgrado, Parigi, Genova, Roma. Oggi c’è solo un treno notturno squinternato per Lecce. Difficile dimenticare tutto questo.
A Trieste la rete marittima austriaca era altrettanto fitta. Cinquanta compagnie di navigazione e collegamenti per Gibilterra, Tangeri, Alessandria d’Egitto, Amburgo, New York, Anversa, Bordeaux, Bombay, Calcutta, Shanghai, Corfù, Istanbul, Kobe in Giappone, Liverpool, Marsiglia, Pireo, Rotterdam e persino Trebisonda. La città  del Nordest che oggi conta poco o nulla persino all’interno della sua regione, era nientemeno che il baricentro di un impero, il capolinea del Mediterraneo, con decine di partenze settimanali per Istria, Dalmazia e oltre. Oggi, l’unico ferry con servizio passeggeri in funzione è quello per Durazzo, Albania, con sbarchi e imbarchi da terzo mondo e controlli doganali stile guerra fredda.
La memoria di quest’epoca è stata posta in ombra prima dal fascismo, poi dall’emergenza anti-comunista del secondo dopoguerra e infine da un’élite triestina che per proteggere le sue rendite di posizione ha lungamente coltivato rancori etno-nazionalisti, soprattutto anti-slavi. Ma dal 1918 il ricordo del tempo in cui i treni funzionavano, il porto era pieno di navi, la città  era piena di slavi, tedeschi ed ebrei, e l’imperatore si rivolgeva “ai suoi popoli” in lingue diverse, non è mai morta nell’anima popolare della città . Il dialetto locale contiene ancora parole austriache, come Befell (ordine), Placato (manifesto) o Traiber (trafficante), segno di una diversità  la cui consapevolezza cova sotto la cenere insieme al desiderio di una rinnovata autonomia stile-Amburgo, più che mai utile nel momento in cui l’Italia paga il conto della crisi.
«Come non partire da Vienna nella ricostruzione dei nostri rapporti col mondo che ci circonda?» ha detto Cosolini a Haupl. «Basta guardare alla nostra architettura, al nostro mare, alle nostre ferrovie, per capire che è quello il punto di riferimento obbligato». Ma non è solo nostalgia: è anche il rapporto con la città  dell’oggi, quella dove le religioni e gli immigrati convivono meglio che altrove grazie a una politica culturale e della casa che non ha eguali in Europa.


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(la Repubblica, VENERDÌ, 09 MARZO 2007, Pagina 22 – Interni)

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