Acqua pubblica in Europa

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Un’epoca che le oligarchie economiche e le loro schiere di cavalier serventi, più o meno “tecnici”, sono assai restie ad abbandonare, dichiarando invece guerra al 96% di “sì” referendari in Italia e al 99% dell’umanità  in genere. A giugno il popolo italiano attraverso il voto democratico – termine che suona preoccupantemente démodée – tracciava di nuovo quel confine, ormai scoloratosi, fra merci e beni comuni, fra terreno dei diritti e terreno dei profitti, fra impresa di mercato e servizio pubblico d’interesse generale. Ciò accadeva dopo troppi anni di indottrinamento neoliberista, in cui anche a sinistra ci si era convinti che il fine di un servizio pubblico vitale fosse generare dividendi per gli azionisti e i beni comuni dovessero servire all’accumulazione di capitale privato. Il voto è stato quindi un colpo all’ideologia neoliberista che ci ha trascinati nella crisi teorizzando la fine d’ogni controllo democratico e d’ogni intervento politico sui mercati e sulla finanza, oltre che una democrazia anoressica, ridotta a mera partecipazione elettorale su agende preconfezionate. La buona novella del referendum italiano, promosso da una coalizione tanto vasta e socialmente radicata quanto squattrinata, ha fatto il giro del mondo e di tutta Europa. Il primo messaggio che è arrivato negli altri paesi è stato semplice: le privatizzazioni e il dominio dei “mercati” non sono un destino naturale né un evento trascendentale, posto al di là  della capacità  d’intervento degli umani mortali. L’altro messaggio recepito è che, per poter ricondurre i nostri destini a portata di mano, dobbiamo metterci assieme, unirci, costruire reti sociali ampie ed inclusive. Dietro la vittoria referendaria, infatti, vi è un lungo processo molecolare che ha compattato, attorno all’acqua simbolo dei beni comuni, una miriade di soggetti locali e nazionali. Reti in grado di elaborare proposte concrete, che consentano ai movimenti di “farsi direttamente legislatori”. In Italia prima abbiamo usato lo strumento delle leggi d’iniziativa popolare, poi il referendum.
Possiamo tentare qualcosa di simile in Europa? Costruire un’alleanza sociale che, nel continente, sottragga l’acqua alla mercificazione, riaprendo così l’intero orizzonte dei beni comuni? A Napoli – unica città  italiana che ha appena ripubblicizzato il servizio idrico, mostrando che ciò è ben possibile – sabato 10 e domenica 11 movimenti, sindacati, organizzazioni ambientaliste e molti altri soggetti sociali di tutta Europa si sono dati appuntamento, su invito del Forum italiano, per dar vita ad una rete continentale per l’acqua e per scrivere assieme un “manifesto” che fissi gli elementi condivisi, gli obiettivi e gli strumenti per realizzarli.
Perché questa accelerazione, per un movimento che non scopre certo oggi l’impegno internazionale? Perché allargare all’Europa il campo d’azione quotidiana, attraverso la creazione d’una rete stabile? In positivo la risposta è da ricercare nella vittoria italiana, in quella di un analogo referendum a Berlino e nei processi di ripubblicizzazione in Francia: i tempi per questo salto sono maturi. Ma la risposta è anche da ricercare nella crisi stessa. La Bce e la Commissione europea, apertamente ridottesi a portavoce del potere finanziario, sono oggi una temibile minaccia per i beni comuni. Tuttavia l’Europa è, al contempo, anche la soluzione: non c’è salvezza senza Europa perché il capitale si muove, ancor più potentemente che in passato, in una dimensione sovranazionale. Se non ci poniamo con efficacia a questa altezza, consci che nessun soggetto sociale, per quanto forte, è di per sé autosufficiente, e consci che la dimensione locale o nazionale non basterà  ad arginare l’attacco del grande capitale ai beni comuni, ci troveremo più deboli e presto travolti dall’assalto della finanza globale, con il contorno di leggi nazionali e direttive europee privatrizzatrici. I beni comuni sono in pericolo – l’esperienza insegna come ad ogni attacco speculativo segua un ciclo di privatizzazioni e di saccheggio del patrimonio pubblico – ma allo stesso tempo sono anche la via maestra per l’uscita dalla crisi: sono una solida base di ricchezza collettiva che, se governata in modo partecipativo, non solo garantisce a tutti l’accesso a beni fondamentali, non solo ci traghetta al di là  dell’eteronomia oligarchica in cui siamo immersi, ma che può costituire anche il fondamento di un’altra economia, sociale e solidale. Un’economia della condivisione e della cooperazione anziché della competizione.
La nascente rete europea sceglierà  così un cammino che appare quasi rivoluzionario, con i tempi che corrono, ossia quello della democrazia. Mentre il capitalismo finanziario accentua quei caratteri elitisti e mercatisti che costituiscono il vizio d’origine dell’Europa che conosciamo – come mostrano il referendum greco “negato”, la lettera della Bce all’Italia e il tentativo di svuotare il referendum italiano appena vinto – di contro, come movimenti per l’acqua, risponderemo utilizzando per primi l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice, attivabile con un milione di firme da raccogliere in almeno 7 paesi). L’Ice è il primo timido strumento di partecipazione democratica introdotto finalmente nell’Unione europea: dalla primavera del 2012 permetterà  ai cittadini di spingere la Commissione a legiferare secondo la volontà  indicata dal popolo europeo. Il nostro fine, ambizioso, è dar inizio a Napoli ad un percorso politico e culturale che porti dall’acqua e dai beni comuni fino a ridisegnare interi pezzi della fisionomia dell’Ue e delle sue politiche. Dal referendum italiano alle piazze degli indignados la richiesta di attivare forme di democrazia diretta sta attraversando il continente. Ad una finanza che vorrebbe sciogliere il popolo (Rossanda) e governarci direttamente, risponderemo avviando una campagna che recupererà  pezzi di quella sovranità  che ci è stata sottratta, per farci direttamente legislatori e artefici di un’altra Europa.
* Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua


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