E ora Monti chiede all’Ue di fare di più

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Da Mario Monti una lezione sugli «spread» più che una conferenza stampa. Per il Professore due ore e mezza piene di domande più che di risposte. Un botta e risposta avarissimo di notizie ma denso di contenuto. In cui la distanza con lo slang berlusconiano non potrebbe essere maggiore, ed è un bene. Ma da cui emerge anche con una crudezza estrema che la soluzione della crisi italiana passa ormai solo per Bruxelles e, purtroppo, da una obbediente sottomissione alle dottrine neoliberiste che infiniti guai stanno seminando in tutto il mondo. 
Più crescita, più liberalizzazioni, più concorrenza, più flessibilità , meno precarietà  sono gli slogan del presidente del consiglio, che dopo un mese di governo appare decisamente meno baldanzoso degli inizi. «Da quello che farà  l’Italia dipende l’economia globale», avverte il professore con toni apocalittici. Il battito dei sindacati a Roma fa naufragare la politica monetaria a Washington. E il ciglio alzato degli impiegati di Berlino provoca milioni di disoccupati a Lisbona e Atene. «Mi domando se sono stato messo qui proprio per dare un messaggio all’opinione pubblica tedesca», si chiede Monti, scherzando un po’ con chi lo chiamava «il più tedesco degli economisti italiani».
«Il decreto ‘salva Italia’ – dice – era un atto dovuto, l’atto voluto del mio governo inizia oggi». Crescita e sviluppo innanzitutto. «La priorità  è il Pil, che deve salire», ma «stiamo facendo una corsa ad ostacoli, da fermo, con handicap». 
In molti casi il premier non ha proprio risposto alle domande dei giornalisti. Due su tutte: l’asta sulle frequenze tv e la Palestina. In altre se l’è cavata con l’ironia: «Vi ringrazio, perché non di rado attraverso i giornali apprendo le cose che io ho detto». Ma non c’è modo per smentire né correggere, avverte il Professore. Perché il tempo è poco e le risorse pubbliche sono ancora meno: nessuna. Monti riconosce i sacrifici imposti con il decreto di fine anno: «La nostra popolarità  dovrebbe essere pari a zero», e «certo non è una manovra espansiva ma non c’era alternativa». Esclude poi per il 2012 «un’altra manovra», almeno «in senso classico». Perché rigore ed equità , cioè il «consolidamento dei conti pubblici», saranno i cardini di tutte le misure dell’anno prossimo. «L’Italia – promette – avrà  un avanzo primario strutturale del 5% all’anno, in grado, in condizioni normali (sic, ndr) di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 e ridurre progressivamente il debito». 
Il governo però non svela le carte sul come: «Non annuncerò qui nessun provvedimento», spiega Monti gelando la platea. Al massimo stila una tabella di marcia che si gioca tutta tra Roma e Bruxelles. Roma fa i compiti a casa e li farà  valere al tavolo europeo. «A gennaio – entro il consiglio europeo del 30 – vareremo il pacchetto liberalizzazioni», spiega Monti senza fornire nessun dettaglio. Febbraio sarà  il mese delle riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali «dopo il negoziato con i sindacati». E a marzo ci sarà  il «piano nazionale delle riforme» che ogni paese deve presentare in Europa per risolvere i suoi nodi strutturali.
Più che a sud-est verso Atene, Monti fa rotta a nord ovest, verso Bruxelles. «Ci stavamo avvicinando alla Grecia ma l’Italia non è la Grecia». Eppure l’ordine del discorso può cambiare: «Molto lavoro ora dipende dall’Europa e dal nostro ruolo in Europa». E’ lì, più che nel parlamento italiano, che il premier dovrà  far valere la sua presunta autorevolezza: «Dobbiamo rovesciare i pregiudizi internazionali, stiamo iniziando un grande cambiamento, su basi meno effimere, del nostro paese, ma i nostri alleati (cioè la Germania, ndr) devono deporre le visioni di breve termine». Monti critica a più riprese l’esito deludente del vertice dell’8-9 dicembre e in particolare i finanziamenti «insufficienti a disposizione del fondo salva-stati». Da gennaio, non a caso, oltre ai vertici comunitari già  previsti ci saranno bilaterali con l’inglese Cameron e con il tandem Merkel-Sarkozy: «E’ soprattutto in Europa – dice – il pubblico che dobbiamo convincere».
Avvertimenti felpati però anche ai partiti di casa nostra. A chi critica (leggi Lega e Pdl), Monti ricorda crudamente: «Non è questo governo ad aver preso gli impegni in Europa. Sono stati sottoscritti da altri. Noi siamo qui dal 16 novembre, e proviamo a ridare autorevolezza e stabilità  all’Italia». Nel finale non manca però una critica sarcastica al suo «predecessore». Monti cita Berlusconi nella conferenza stampa dell’anno scorso, quando diceva: «La crisi è psicologica, serve un bagno di ottimismo, non ci saranno altre manovre». «Però poi ce ne sono state cinque – conclude perfido il Professore – e solo l’ultima porta la mia firma». Una professione di forza basata più sulla debolezza altrui che su argomenti propri. E non è un caso che Monti abbia fermato il suo calendario di interventi a febbraio-marzo. Quando è più che probabile che i partiti che lo sostengono tra mille imbarazzi cercheranno in tutti i modi di tornare alle urne.


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