Ischia, la coalizione bipartisan in difesa delle case abusive

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ISCHIA — Bella faccia da pirata, antica devozione a Santa Restituta: «Tutti i giorni passo in chiesa, sa? Però sono un povero peccatore», sospira Domenico De Siano. E sembra di risentire la registrazione di un vecchio e ruspante notabile dc: siamo nati per peccare e per essere perdonati, si sa.
Cauta faccia da chierichetto attempato, gigantesco crocifisso di legno dietro la poltrona da sindaco: «Ma alle poltrone io non sono attaccato per niente, sa? Il fatto è politico, lo dico sempre: parliamone», flauta Giosi Ferrandino. E pare di rivedere il filmato di un antico e avvolgente leader doroteo. «Non so se con questo intende farmi un complimento», sorride amabile e spiritoso, «però, sì, la scuola è quella. Io attaccavo i manifesti con lo scudocrociato, Mimmo già  era consigliere comunale, è più vecchio di me di qualche anno». 
Così diversi e così uguali, il capo del Popolo della libertà  e il capo del Partito democratico dell’isola storicamente più devastata dall’abusivismo (60 mila residenti, 27 mila abusi conclamati, una richiesta di condono ogni due famiglie, rivolte anti-ruspe, qualche migliaio di abbattimenti in programma da fine gennaio). Due settimane fa, Mimmo e Giosi hanno riunito i cronisti locali e un paio di centinaia di ischitani «con la mente sgombra dai pregiudizi ideologici» nel bar Calise di piazza degli Eroi, cuore del più popoloso tra i sei comuni in cui ancora l’isola è frammentata. E hanno steso tutti: a primavera 2012, quando si voterà  per i municipi di Ischia, Lacco Ameno e Casamicciola, il partito di Bersani e quello di Berlusconi andranno a braccetto, sotto l’ombrello di liste civiche, a chiedere agli elettori un prevedibile plebiscito (Ischia città , ventimila abitanti e il doppio turno, sarà  un vero test politico, con Ferrandino ricandidato di tutti: «Se il Pd prova a impedirmelo, scelgo il… territorio», annuncia tosto, in politichese). 
Inciucio? Porcata? Macché, ci mancherebbe. Motivi nobili, giurano i due fratelli separati. Ferrandino, che dalla Dc passò in Forza Italia conquistato da Berlusconi, poi balzò nella Margherita deluso da Berlusconi e da sindaco Pd di Ischia è già  da adesso sostenuto anche dagli uomini di Berlusconi (dopo il patto del bar Calise ha in consiglio una maggioranza del 90 per cento…), vola alto: «Facciamo una fase costituente, diciamo come Monti». E diciamolo. Il Comune unico è il mito e la bandiera, «obiettivo fondante, non si può andare avanti con spezzatino di servizi in sei enti, sei municipalizzate!». Anche se un referendum per realizzarlo è appena andato semideserto e molti dicono che il vero interesse diffuso dietro il patto sia il blocco elettorale degli abusivi e il blocco economico degli albergatori (Giosi ha un hotel di famiglia, Mimmo ne ha una mezza dozzina). 
Qui le lobby si fanno sentire, eccome. A Forio, per dire, il consiglio comunale ha bocciato a scrutinio segreto la variazione di bilancio con cui si dovevano finanziare undici demolizioni disposte dalla Procura. I mattoni sono oro. «Non faccia demagogia», ci rimprovera Mimmo, severo. «Noi siamo per l’abuso di necessità , gli ischitani sono forse cittadini di serie B? Non hanno diritto alla casa? Quanto a me e Giosi siamo amici, sì, è vero, e certe operazioni le fai solo se ti fidi. Però, altro che Monti! Quello è un tecnico, noi anticipiamo ciò che la politica nazionale dovrà  fare e che Caldoro in Regione sta già  facendo, in fondo. Noi mettiamo avanti gli interessi dell’isola proprio come i partiti dovranno mettere avanti gli interessi dell’Italia e lavorare insieme per cambiare le regole». Per un breve, inebriante momento Mimmo il riformatore ha detenuto un record: approdato dritto dai ranghi gavianei al partito cosentiniano, era consigliere comunale, provinciale, regionale e pure deputato, finché non gli hanno spiegato che almeno da Montecitorio era il caso si dimettesse. È un pragmatico. «Ci vuole psicologia», dice. Cioè? «A Lacco Ameno la politica la comando io, sa?». Quindi? «Beh, c’era uno che mi riempiva di denunce. Io ho capito quello che voleva e gli ho detto: vuoi fare tu il sindaco la prossima volta? Farà  il sindaco, e ci siamo capiti. Si chiama Monti, sì, pure lui, Carmine Monti…». 
«Imbroglioni», sbuffa qualche vecchio socialista ormai fuori dalla politica come Francesco Rispoli, professore alla Federico II. Un certo pragmatismo è un tratto distintivo in un’isola in cui le grandi famiglie hanno sempre contato più delle grandi idee, e la trasformazione da scoglio di pescatori e contadini a eldorado con quattrocento alberghi e undicimila lavoratori del settore ha fatto smarrire pezzi di identità  sempre più cospicui dai tempi di Angelo Rizzoli e Truman Capote. A fine anni Sessanta, per dire, un sindaco che doveva costruire un albergo finanziato dalla Cassa per il mezzogiorno in una zona di Sant’Angelo per legge troppo vicina al cimitero, fece semplicemente chiudere il cimitero. Negli anni Ottanta i Giuliano «rimpatriavano» a Napoli via aliscafo gli scippatori fastidiosi «perché se no la polizia viene pure ‘a casa nostra». 
Ora tutti invocano il condono 2003, da cui gli ischitani sarebbero stati esclusi a causa d’un viluppo normativo dovuto a Bassolino. «Atteggiamento pretestuoso», dice il procuratore Aldo De Chiara: «A Ischia vige la non edificabilità  assoluta, punto». «E però c’è un blocco resistente, se anche la Curia parla di abusivismo sociale», medita Michele Buonomo, presidente di Legambiente campana.
«Noi non rappresentiamo quel blocco», giurano Giosi e Mimmo. E, da qualunque parte la si veda, dev’essere vero. Perché la loro storia viene molto più da lontano. Dalla Dc che prendeva l’80 per cento e sulla quale regnava Enzo Mazzella, il «sindaco delle grandi opere» fatte pagare allo Stato, l’amato monarca che chiudeva «un occhio e mezzo» sugli abusi edilizi e sapeva fare gli inviti a tavola come solo gli antichi dc sapevano. Morì nel ’90, dopo avere regnato per almeno dieci anni su uomini e cose dell’isola, e averne segnato il modello di sviluppo. «I suoi nemici si saranno rammaricati perché non è finito dentro Tangentopoli», disse una volta la moglie, amara. 
Era un’altra politica, un mondo che aveva certi costi. Se qualche decennio dopo un ragazzo che incollava i manifesti e un implume consigliere comunale decidono di farla rivivere, non necessariamente bisogna strillare al nuovo che avanza.


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