Per Visco non servono scorciatoie Niente pressing sugli istituti di credito

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Nelle vesti di avversaria, il neogovernatore della Banca d’Italia aveva una celebrità  del settore come Carmen Reinhart. Cubana di nascita, ricercatrice di punta del Peterson Institute for International Economics di Washington, eletta da Foreign Policy fra i cento pensatori più influenti al mondo, Reinhart ha legato il suo nome a un concetto: «repressione finanziaria», la serie di misure striscianti con le quali storicamente i governi hanno forzato le banche e i privati a sostenere il debito pubblico logorando i propri patrimoni. Per Reinhart la «repressione finanziaria» sulle banche, sui fondi pensione e sui risparmiatori — non il rigore, l’austerità  e le riforme per la crescita — è stato il modo con cui i governi occidentali hanno risolto i problemi di debito dal ’45 agli anni 80.
L’occasione per parlarne è arrivata alla fine di giugno scorso alla Banca dei regolamenti internazionali. All’epoca Visco era vicedirettore generale di Bankitalia e il contagio del debito non aveva ancora investito il Paese (sarebbe successo di lì a dieci giorni). Ma lo scambio con Reinhart è stato pubblicato dalla Bri solo in dicembre, senz’altro dopo aver consultato gli interessati.
Ne emerge una lettura approfondita del debito pubblico italiano da parte del governatore. Il quale avverte Reinhart: sul fatto che la «repressione finanziaria» possa risolvere il problema attuale, dice, «ho seri dubbi». Visco riconosce che questo strumento è stato prediletto dall’Italia negli anni 70 e 80. È quella che chiama una «tassa implicita»: lo erano i controlli al credito e i vincoli di capitale sulle banche, per costringerle a comprare titoli di Stato a interessi più bassi; e lo erano i rendimenti dei Btp spesso sotto l’inflazione, in modo da liquidare di fatto il valore reale del debito a spese dei risparmiatori.
Ma per Visco ripercorrere questa strada adesso sarebbe un errore. La sua non è una risposta scontata, perché molti stanno già  chiedendo al neogovernatore di fare pressioni sulle compagnie d’assicurazione e gli istituti per costringerli di fatto ad acquistare titoli di Stato: sarebbe la «repressione finanziaria» del XXI secolo, che in fondo Carmen Reinhart sostiene. Visco lo sa, ma risponde: «Dubito che sia fattibile, a meno che non prevalga un protezionismo finanziario e reale tale da danneggiare la cooperazione internazionale e il benessere». Ma soprattutto, il governatore è contrario in linea di principio: «La repressione finanziaria mina gli incentivi alla disciplina di bilancio, come accadde in Italia negli anni 70 e 80».
Insomma Visco non ci sta, non farà  pressioni sulle banche. Per lui la riduzione del debito «si può perseguire solo attraverso un’impegnativa combinazione di risanamento e stimolo alla crescita con misure strutturali». C’è poi — aggiunge — «quella che è veramente l’ultima istanza, la ristrutturazione del debito» perché «bisogna permettere ai mercati di valutare tutte queste opzioni» in modo che le soppesino in modo corretto. In questo senso Visco si dice anche a favore di «disegnare le giuste condizioni a monte per coinvolgere i creditori privati nella ristrutturazione di un debito pubblico». Applicata alla Grecia quest’idea di imporre perdite ai creditori privati ha finito per impaurire gli investitori in tutt’Europa e trasmettere il contagio anche all’Italia. Ma forse, a fine giugno scorso, non è ciò che Visco intendeva dire.


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