“L’Europa superi la fobia Islam la Primavera ha bisogno di aiuto”

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VARSAVIA – «Abbiamo tenuto le prime elezioni libere nella storia del Paese e quasi la metà  degli elettori ha partecipato al voto. Non possiamo che essere soddisfatti». ll premier ad interim tunisino Beji Caid Essebsi si compiace dei successi conseguiti dal suo Paese da quando, un anno fa, un giovane venditore ambulante di Sidi Bouzid si diede fuoco innescando la “rivoluzione del gelsomino” che avrebbe portato alla fuga di Ben Ali e contagiato tutto il mondo arabo. Né Essebsi – 84 anni e una veneranda carriera prima di ritirarsi dalla politica nel ‘91 – avrebbe mai pensato che sarebbe toccato a lui guidare la delicata transizione del Paese verso la democrazia. «Le rivoluzioni del resto non accadono tutti i giorni», dice a margine delle Giornate europee per lo sviluppo a Varsavia, lasciandosi andare a dei bilanci ora che sta per passare il testimone a Hamadi al-Jabali, il segretario generale di Al Nahda, il partito islamico che ha vinto le elezioni a fine ottobre.
A un anno dal tentato suicidio di Mohamed Bouazizi, come descriverebbe il cammino intrapreso dal suo Paese?
«La maggior parte delle rivoluzioni del passato sono terminate nel caos o nel sangue. La nostra ha avuto un altro esito: la democrazia. Potremmo definirlo un lieto fine».
Eppure c’è chi teme che la vittoria di Al Nahda non sia un esito felice.
«L’Islam è sempre stato la fobia dell’Europa, paura basata sull’ignoranza. Ma non c’è d’aver paura: in Tunisia non ci sono partiti islamici, ma d’ispirazione islamica. Sono moderati e rinnegano ogni espressione di violenza. Tra l’altro Al Nahda è sì il primo partito del Paese, ma non ha la maggioranza assoluta. Dovrà  formare una coalizione con altri due partiti, entrambi laici».
Ha un consiglio da dare ai Paesi arabi che hanno seguito il cammino tunisino? 
«È difficile dare consigli. Prima dobbiamo assicurare il successo della nostra rivoluzione. Certo, seguiamo con interesse gli sviluppi nei Paesi vicini anche perché, come dico sempre, la libertà  non rispetta le frontiere».
Cosa deve fare l’Occidente per sostenere le neodemocrazie nordafricane e le ribellioni in corso?
«Fornire quell’assistenza economica che permetta alle nuove società  di rispondere alle aspettative della gioventù. I Paesi nordafricani arrivano alla democrazia con grandi handicap. Nel nostro caso, un’enorme disoccupazione. La condizione economica del Paese spesso non ci ha permesso di rispondere alle aspettative della popolazione. Per questo abbiamo bisogno di investimenti stranieri». 
Come risponde a chi la accusa di non avere risposto velocemente alle prime istanze della rivoluzione, come la richiesta di occupazione?
«Il governo provvisorio ha messo a punto un piano per creare nuovi posti di lavoro. Non bastano per dare lavoro a tutti. Per farlo avremmo bisogno di più investimenti, ma sappiamo che la crisi è ovunque e che non è il momento di chiedere un ulteriore supporto».
Nel suo futuro vede un nuovo ruolo politico?
«Fortunatamente ho un lungo passato, (ride, ndr). Il futuro appartiene a Dio. Chissà ».


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