Birmania, il regime libera i dissidenti

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BANGKOK – Era il segnale di apertura più atteso da quando fu rilasciata Aung San Suu Kyi un anno e due mesi fa. Ieri sono usciti dalle celle birmane 650 detenuti, molti dei quali “politici”. Tra loro ci sono finalmente gran parte dei principali dissidenti del movimento studentesco del 1988 come il carismatico Min Ko Naing, il combattivo monaco a capo della Rivolta di Zafferano del 2007, leader di eserciti e movimenti etnici ribelli, blogger, giornalisti e perfino ex membri del passato regime, come il numero due Khin Nyunt, già  capo dei famigerati servizi segreti arrestato nel 2004 per corruzione. Dalla Casa Bianca Obama ha subito rilasciato una dichiarazione favorevole segnalando che «la scarcerazione di altri prigionieri di coscienza è un sostanziale passo avanti per le riforme democratiche, anche se molto resta ancora da fare». Grazie ai cambiamenti in atto nel regime birmano Washington è pronta ad avviare lo scambio di ambasciatori, come ha confermato Hillary Clinton. È presto però per una eventuale revoca delle sanzioni economiche imposte da tempo al regime.
Molti dei prigionieri rilasciati avrebbero dovuto scontare 60, perfino 90 anni di carcere per reati in gran parte di opposizione politica al regime, una protesta, un opuscolo o un video clandestino di denuncia. Invece il presidente Thein Sein, che ha firmato l’apposito decreto di clemenza, li ha perfino invitati in tv ad «avere un ruolo costruttivo nel processo politico».
Anche per questo la giornata di ieri rappresenta una delle tappe più significative nelle cronache ancora in fase di scrittura della primavera incruenta birmana, in gran parte da attribuire alla pazienza e perseveranza della Penelope della non violenza Aung San Suu Kyi. Ma già  alla vigilia si era verificato un altro evento storico, la firma di un cessate il fuoco tra il governo e l’etnia ribelle da più tempo in guerra contro i generali birmani, i Karen. Potrebbe essere il segnale della fine di un conflitto che dura senza tregua da sessant’anni ed è costato indicibili lutti e violenze, con intere generazioni cresciute nei sovraffollati campi profughi ai confini thailandesi, o in fuga dai soldati e dai ribelli che bruciavano i villaggi.
I colloqui di pace con i Karen e altre etnie separatiste, in corso mentre si spara ancora nel territorio dei Kachin, sono stati esplicitamente sollecitati da Hillary Cinton durante la sua delicata visita del mese scorso, e formano assieme alla liberazione di tutti i dissenzienti la condizione posta dagli Stati Uniti per eliminare le pesanti sanzioni economiche, già  alleggerite ieri dall’Australia. «Penso che la Birmania ha ancora molta strada da fare», ha detto subito dopo il suo rilascio il volto più noto della rivolta di zafferano, Ashin Gambira. «Anche se adesso rilasciano i prigionieri – ha aggiunto – hanno ancora le caratteristiche di una dittatura». Il numero di detenuti politici ancora agli arresti potrebbe variare tra i 700 e i 1500, ma il regime non ha mai distinto troppo tra criminali comuni e dissenzienti, trattandoli alla stessa stregua e spesso peggio.


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