Bloccata anche la Fiat Nei negozi si teme per i prodotti freschi

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TORINO — Scendono dai camion e bloccano autostrade, tangenziali, porti. Dicono di essere allo stremo per il gasolio alle stelle, per i pagamenti che non arrivano, per il costo dei pedaggi, delle polizze assicurative. Chiedono provvedimenti «ora o non finirà  mai» e su questo grido di battaglia migliaia di autotrasportatori hanno ieri semiparalizzato l’Italia, spostando la protesta dei «forconi» siciliani all’intera penisola, dalla Calabria alla Basilicata alla Campania alla Puglia, fino alla Lombardia e al Piemonte. Sulle strade chilometri di Tir in coda e di lavoratori urlanti; sui mercati i banchi spogli di derrate alimentari che non arrivano, mentre alcune aziende stanno fermando il vapore in attesa della materia prima. Non solo piccole e medie imprese ma addirittura la Fiat, che oggi ha sospeso un turno di lavoro negli stabilimenti di Pomigliano, Sevel, Cassino, Melfi e Mirafiori. Insomma, una giornata nera per i trasporti e per l’economia reale.
E gli autotrasportatori, quasi tutti padroncini e titolari di piccole ditte, a urlare le loro pene, sorpresi dalla clamorosa piega che ha preso la protesta. Come sulla tangenziale dell’interporto di Torino, uno degli epicentri dell’agitazione, dove il masaniello è Antonio Mollica, coordinatore regionale di Trasporto Unito, che rivendica distanza e autonomia dalle sigle confederali. Mollica, 4 milioni e mezzo di chilometri macinati in 30 anni sul suo Iveco, semplifica: «Giro il quadro e ho finito i soldi. Da qui non ci muoviamo finché il governo non darà  delle risposte concrete». Risultato: 7 chilometri di coda in entrambi i sensi di marcia, pare 1.500 autotrasportatori a motore spento e interporto chiuso.
Dietro di lui si scaldano con il fuoco e con la voce: «Facciamo la fame per colpa di quelli», ringhia il più nervoso. E quelli sono i romeni, i polacchi, gli sloveni, che lavorano a meno e spendono un terzo. Ce n’è uno proprio lì vicino. Un baffone romeno alla guida di un bisonte scassato. Si chiama George Popescu e per fortuna non ha sentito bene il collega italiano. Lui risponde alle domande e chiarisce: «Prendo 500 euro al mese e faccio avanti e indietro dalla Romania con finestre e mobili. Se posso, in Italia non vengo più, troppo cara. Hanno ragione a protestare». Surreale.
E rimbalzano le notizie dal resto d’Italia, con una sessantina di «concentramenti», diversi a ridosso di raffinerie, porti e centri intermodali. Tutti camionisti, tutti a usare il freno come forcone. Bloccato lo svincolo di Novara, problemi sulla statale di Asti, code nelle lombarde Capriate e Seriate, chiuse le uscite di Bologna San Lazzaro e Cesena nord. Più a Sud soffrono Napoli, all’uscita di Mercato San Severino, Foggia e Taranto (A14), dove i mezzi pesanti hanno bloccato le entrate di Andria, San Severo e Poggio Imperiale. Un quadro desolante. «No no, tutto molto bene, oltre ogni aspettativa», corregge Mollica che ha acceso il fuoco per scaldarsi e per le salsicce. Un’agenzia riporta le previsioni del danno della Confederazione italiana agricoltori: «Quasi 60 milioni di euro per il fermo della Sicilia. La protesta può dare il colpo di grazia al settore primario». Scende in campo Francesco Pugliese, direttore di Conad: «Frutta, latte e carne incominciano a scarseggiare sugli scaffali. Chiediamo che il governo si attivi immediatamente per trovare al più presto una soluzione».
Verso sera, vicino all’interporto torinese, anche Filippo il benzinaio si arrende: «Diesel esaurito».


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