IL RAGAZZO CHE VOLA DENTRO LA TEMPESTA

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Tutti sanno di cosa abbia bisogno un buon ombrello: un bastone-base solido, per poterlo tenere bene in mano, e stanghe di tensione che gli danno stabilità  quando è aperto. Quante più sono quelle stanghe flessibili e il tessuto tra di loro, tanto più l’ombrello è impermeabile. Ombrelli di grandezza mostruosa, come quelli aperti per la salvezza dell’euro, possono di nuovo essere utilizzati dalla cancelliera Merkel, dal presidente Sarkozy o da alcuni altri leader europei; ma se l’ombrello si bloccherà  da solo, la loro sorte sarà  quella del “Robert volante”, un personaggio della celebre fiaba tedesca “der Struwwelpeter”: tenendo saldo l’ombrello il ragazzo vola via nella tempesta. Subiranno una simile sorte anche i governi della Ue e la Commissione europea a Bruxelles, se pensano di poter reggere l’ombrello da soli. Per farcela hanno bisogno del sostegno delle società  dei paesi membri, e quindi della fiducia dei cittadini, perché questa fiducia è la prima forza che può davvero aprire l’ombrello. L’Unione europea ha bisogno della fiducia dei suoi cittadini, e questa fiducia non gocciola da sotto l’ombrello della salvezza. Senza questa fiducia, qualsiasi ombrello resta instabile: si lascia scuotere dai venti, o si lacera e si rompe.
L’Europa è il meglio che sia mai accaduto a tedeschi, francesi e italiani, a cèchi e danesi, a polacchi e spagnoli, a olandesi, britannici e greci, bavaresi o baltici, nella loro lunga storia. L’Europa è la traduzione in realtà  di tanti vecchi trattati di pace, che non portarono mai la pace. L’Unione europea è la fine di una guerra durata quasi mille anni, e che quasi tutti hanno combattuto contro quasi tutti. È un paradiso immeritato per i popoli di un intero continente. Suona retorico, ma è così. Eppure non osiamo più dirlo, perché simili frasi osannanti suonano come una condanna di se stessi, se e fintanto che la gente percepirà  questa Unione europea soltanto come comunità  d’interessi dell’economia, e non invece come comunità  di difesa reciproca per i cittadini.
Chi ha vissuto e sentito il suo Stato nazionale come patria, non vuole sentirsene espulso. Vuole, se la patria-Stato nazionale diverrà  troppo debole, un’Europa come seconda patria. Se dunque in proteste diffuse ormai in tutta Europa i dimostranti chiedono ai loro governi di garantire una certa misura di dignità  economica e delle condizioni di vita in un mondo globalizzato, non si tratta di uno sviluppo da poco, o da sottovalutare. Regole per un’economia che sia socialmente tollerabile fanno parte della pace sociale. Tenere conto della paura per il futuro di questa pace sociale interna fa parte dei compiti sostanziali e costitutivi dell’Unione europea. Molti cittadini provano la sgradevole sensazione che la Uer funzioni per la sicurezza esterna e interna, che sia una realtà  vantaggiosa per il commercio e per i grandi cambiamenti macroeconomici, ma che le esigenze sociali non siano tenute dalla Ue nel giusto conto. E invece l’Europa non ha bisogno soltanto di trattati, bensì le serve anche la fiducia dei suoi cittadini. Il motore dell’Europa non si chiama euro, si chiama democrazia. E la democrazia vive di fiducia.
Di solito, alla richiesta di un’Europa sociale, nel dibattito politico si risponde che la Ue è responsabile per la libertà  e la competitività , e tocca agli Stati nazionali occuparsi della dimensione sociale. La politica sociale, secondo questa tesi, appartiene ancora al livello della sovranità  degli Stati nazionali, in base al principio di sussidiarietà  che ripartisce i livelli di sovranità  e potere decisionale nella Ue. Alcune realtà  parlano a favore di questa tesi. Eppure una simile divisione dei compiti non può funzionare se la Ue propaga e propugna prima di tutto la precedenza per la libertà  economica e la libertà  di competizione. Perché in questo caso la politica sociale dei singoli Stati membri verrà  considerata un ostacolo, che deve essere rimosso, secondo lo slogan: via libera alla libertà  disinvolta, alla deregulation, via libera alla libertà  di offrire servizi ovunque, via libera alla circolazione di merci e capitali, eliminiamo tutto quanto disturba. Prima di tutto La Corte europea di Lussemburgo sembra prigioniera di questa scuola di pensiero: agisce e giudica come se fosse il tribunale economico dell’intera Europa, e come se non avesse ancora notato che non siamo più nella Comunità  economica europea, bensì nell’Unione europea. Manca alla Corte europea di Lussemburgo la sensibilità  sociale. Si sente sempre come l’Olimpo giuridico della vecchia Comunità  economica europea, ben più che come Olimpo giuridico di un’Unione europea dei cittadini.
Quando parliamo di riforma del welfare, dei singoli sistemi nazionali di welfare, è necessario tramandare le storie di successo di questi sistemi, non porre loro fine. È necessario confermare l’essenziale di queste realtà  di welfare, come è definito quale “progresso sociale” dai Trattati europei di Lisbona. I connotati essenziali dei sistemi di welfare europei sono l’espressione della giustizia sociale. Sulla carta, la Ue è già  diventata un po’ sociale: nell’articolo 3 del Trattato di Lisbona non si parla più di un’Europa votata alla priorità  di una crescita economica equilibrata e alla stabilità  dei prezzi. Si dice anche che occorre realizzare un’economia sociale di mercato capace di essere competitiva, che punta agli obiettivi della piena occupazione e del progresso sociale. Ma in altri punti il Trattato di Lisbona ha macchie nere, per esempio laddove parla di valori della Ue. Là  menziona tra l’altro la democrazia e lo Stato di diritto, ma invano cerchi in quei capitoli del Trattato menzione del welfare e della giustizia sociale.
Modello sociale europeo: questo concetto non significa che in tutta Europa debbano valere gli stessi salari minimi, o gli stessi sussidi di disoccupazione, o le stesse pensioni o gli stessi sistemi scolastici. Modello sociale europeo non vuole nemmeno dire che la Sanità  debba essere finanziata in tutta Europa allo stesso modo. Un welfare paneuropeo comune e ridotto al minimo con dure norme impartite da Bruxelles non sarebbe un modello sociale europeo bensì uno scenario dell’orrore. Il modello sociale europeo è ben altro. È la necessaria idea costituiva comune che la disuguaglianza sociale non è data o decisa da Dio. Un modello sociale europeo vuol dire difesa e aiuto ben pensati contro rischi della vita, malattia, disoccupazione, bisogno di assistenza per gli anziani. Ecco i denominatori comuni dell’ordine sociale europeo. Il modello sociale europeo non dà  ai poveri solo letto e tetto, ma anche una via d’uscita dalla povertà . Il modello sociale europeo è un sistema di coordinate comune, in cui gli assi cartesiani devono essere solidarietà  e giustizia, e in cui i singoli Stati trovino le loro coordinate e vengano in questo aiutati e non ostacolati da Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo.
Un’Europa senza europei è condannata al fallimento. Solo un’Europa sociale e giusta è anche un’Europa democratica. Un’Europa democratica è un’Europa il cui dovere sia l’interesse di tutti i suoi cittadini, poveri e ricchi, forti e deboli. La forza dell’Europa si misura secondo il benessere dei deboli.
«Io ero l’ultima chance dell’Europa», disse il criminale contro l’umanità  Adolf Hitler poco prima della sua fine, nel Bunker a Berlino. La sua fu una cosiddetta chance, ma demoniaca. Hitler distrusse anche quello che della vecchia Europa era rimasto dopo la prima guerra mondiale, ha fatto a pezzi l’immagine mondiale dell’Europa e le sue aspirazioni politiche e culturali. Non solo la Germania, l’Europa intera era alla fine nel 1945. Quanto poi è accaduto in Europa, è stato descritto con il termine “miracolo”, termine spesso abusato negli ultimi tempi. Il “piccolo sommario dei piccoli Stati europei”, come lo definì Hitler con disprezzo, si è messo davvero insieme, ha superato il nazionalismo e antiche ostilità . La Comunità  europea, poi l’Unione europea sono nate. La Storia della Ue è una storia della quadratura del cerchio, di un cerchio fatto a pezzi dal nostro passato di europei. Questa Ue è l’ultimo senso e significato di una Storia devastata del nostro continente. Questa Ue potenza di pace è il frutto di secoli di guerre e distruzione. Purtroppo è molto difficile percepire questa sua grandezza nel quotidiano della politica, e difenderla e conservarla.
*Direttore della Sueddeutsche Zeitung


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