L’altro capitano “L’eroe non sono io”

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LIVORNO – Capita di essere o diventare quello che forse si è ma che non si vuole essere. Neppure per il breve spazio di un giorno. Un eroe. «Gesù, che ho fatto di straordinario? Io ho fatto solo il mio dovere. Quello che avrebbe fatto qualunque altro uomo, donna, marinaio al mio posto quella notte». l capitano di fregata Gregorio De Falco, classe 1964, ha la cantilena dolce di chi è nato a Napoli ed è cresciuto a Ischia. «Sant’Angelo di Ischia. Ci tengo». Ed è l’unica civetteria di un uomo che non dorme da quattro giorni, con le gote traslucide della pomata che serve a mare per evitare che la pelle si spacchi per il freddo e il sole.
«Comandante, comandante c’è un mayday» lo richiama una sorridente sottocapo della Guardia costiera. Lui si gira di scatto: «Ma che dici?». E lei ridendo: «Sono le sue figlie, vorrebbero sapere se è ancora vivo, e soprattutto dov’è». Maria Rosaria e Carla hanno 12 e 5 anni e con la madre, Raffaella sono il suo mondo. Alloggiano con lui in una delle foresterie della guardia costiera di Livorno dove lui, Gregorio, è arrivato nel 2005, come capo della sezione operativa. Arrivava da tre anni di comando della Capitaneria di porto di Santa Margherita Ligure e, prima di allora, da Genova e Mazzara Del Vallo. Le sue prime destinazioni, dopo il concorso in Guardia costiera nel 1994, l’accademia a Livorno e una laurea in giurisprudenza da fuori sede alla statale di Milano. Una prima volta per una famiglia (Gregorio, il fratello Domenico e la sorella Ines) che di marinai non ne aveva mai avuti.
Facebook e ogni genere di social network si scambiano da ore gli audio delle sue conversazioni con il comandante Francesco Schettino come fossero la metafora epica della lotta tra eroismo e codardia. In un curioso incrocio di destini in cui l’eroe e il codardo parlano lo stesso dolce dialetto, il napoletano. Epperò come spesso accade, la furia lucida e indignata di quella notte di questo capitano di fregata – «Glielo ordino torni a bordo di quella nave, cazzo» – non rende ragione di un’indole. Il capitano di fregata Gregorio De Falco, da venerdì notte piange. Ha pianto all’alba di sabato 14 quando ha avuto chiaro che nel ventre della balena ferita erano rimasti donne, uomini forse bambini. Ha pianto di rabbia – come conferma uno dei suoi superiori – mordendosi il labbro inferiore pensando alla irragionevole “disumanità ” di un altro comandante che dà  le spalle a chi gridando viene inghiottito dall’acqua gelida. «È vero sì, piango, mi capita di piangere, non credo sia una debolezza. L’umanità  non è una debolezza».
«Vi posso chiedere un favore? Dimenticatevi di me. Smettete di parlare di me. L’eroe non sono io». Eppure, l’intuizione che sulla Concordia stava succedendo qualcosa… «L’intuizione? L’eroe è il mio sottocapo Alessandro Tosi, è lui che ha capito tutto quella notte. È lui che alle 22,07 guardando un puntino verde su un monitor senza sapere nulla che non fosse una telefonata dai carabinieri di Prato mi ha detto, “comandante, quella nave da crociera va troppo piano, 6 nodi… che ci fa a 6 nodi e a rotta invertita la Concordia? Comandante, chiamiamoli. Lì c’è un guaio”. Capite chi è l’eroe?». Sì ma… «Sì ma niente. Un altro eroe? Sapete chi ha salvato quasi tutte le persone quella notte dopo che il comandante aveva abbandonato la nave? Un ragazzo meraviglioso del nostro elisoccorso. Marco Savastano. È questo il nome che dovete scrivere. E dovreste fare una pagina di soli nomi di marinai della Guardia costiera, della Marina militare, della Finanza, dei carabinieri, dei vigili del fuoco, della Protezione civile, che quella notte hanno dimenticato se stessi per gli altri. Savastano, dicevo. Lo hanno calato su quella nave al buio, con una muta invernale e un palmare, non una radio, non un filo con noi. Si è buttato a capofitto lì dentro senza pensare alla sua vita ma a quella di chi cercava di salvare. Si muoveva in un ambiente che non conosceva, tra suppellettili sfasciate, acqua, passeggeri che gridavano al buio. Chi è l’eroe? Io che strillavo con Schettino o lui, che ascoltava le urla di supplica di quelli che volevano essere salvati e non capivano perché perdeva tempo ad imbracare alle barelle spinali i feriti più gravi da tirare su con l’elisoccorso?».
Ascoltando De Falco capisci perché, quando chiedi di lui in caserma, di come sia la vita in questo parallelepipedo color ocra, casa della Guardia costiera, che guarda il mare di Livorno ti rispondono che il comandante de Falco «è l’ufficiale più generoso, l’uomo più disponibile della nostra piccola famiglia». E capisci anche perché, in queste ore, ripeta come un mantra una sola richiesta: «Io ora ho bisogno di silenzio». Per dormire? «Per lavorare. Per capire cosa è accaduto e se c’è ancora solo una possibilità  di trovare qualcuno vivo, perché il mio mestiere è questo, soccorrere. Per questo quella notte urlavo». De Falco saluta. Nella mano destra ha un sacchettino che tiene stretto. Cos’è? «Un regalo di due amici. Me l’hanno portato stamattina dicendo che mi volevano ringraziare per quello che ho fatto. È un libro, la biografia di Steve Jobs. Non so quando potrò cominciare a leggerlo. Magari comincerà  mia moglie. Buon lavoro».


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