«Professionisti e società  di capitali? Indipendenza addio»

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Sono tempi di cambiamento per gli avvocati. Il recente maxiemendamento al patto di stabilità  ha previsto la possibilità  per i soci di capitale di entrare nelle società  tra professionisti, che potranno costituire delle società  commerciali, finora vietate. Ora si attendono i regolamenti. Ma si tratta di «una novità  pericolosa», afferma l’avvocato Napoli. «Solo i grandi gruppi bancari, industriali, assicurativi, saranno interessati a una simile opportunità , per azzerare i propri costi di assistenza legale. È evidente che nel momento in cui entra un socio di capitale in una società  di professionisti, ha solo un interesse speculativo. L’ipotesi prevede inoltre che sia un socio non professionista a poter costituire una società  di avvocati, che finirebbe così per diventare un ufficio legale interno». Con «gravissime conseguenze» perché, afferma il legale, «sarebbe la fine della figura dell’avvocato, che perderebbe la sua indipendenza e il suo segreto professionale. E il fatto che sia Confindustria che l’Abi sono favorevoli a questa novità  dovrebbe insospettire». Napoli spiega: «Il professionista non potrà  in alcun modo tener testa alle esigenze opportunistiche del socio di capitale e alle pressioni dell’amministratore che sarà  sua espressione. Inoltre, di fatto, sarà  impossibile per il professionista di minoranza difendere i propri dossier e opporsi all’invadente curiosità  del socio dominante, che potrà  usare le informazioni coperte da segreto professionale per la propria attività  imprenditoriale». Ma Napoli è molto critico anche sulla liberalizzazione delle professioni, perché rischia di «abbassare la qualità  del servizio». Non solo il mercato può essere «pericolosissimo», sostiene, ma «nel mondo degli avvocati non serve più concorrenza, perché ce n’è già  abbastanza». «In Italia ci sono circa 240 mila legali, sei volte il numero degli avvocati francesi, un quarto di tutti gli avvocati in Europa. Più si aumenta il numero dei professionisti più il servizio sarà  scadente», valuta. Le tariffe minime? «Sono una tutela per il contraente più debole». Abolirle sarebbe «un regalo fatto alle posizioni economiche rilevanti, non certo un servizio reso ai cittadini», dice. Così come «la pubblicità  finirà  per nuocere alle persone che hanno meno strumenti per capire». Ecco perché «lo Stato dovrebbe semplicemente preoccuparsi che la prestazione sia di qualità  media accettabile e di alto livello deontologico». Quindi? «Mi sembra scorretto andare a avanti a colpi di piccoli decreti e modifiche. Chiedo un passo indietro. Discutiamo insieme i criteri di economicità  e di efficienza, per giungere a una legge complessiva di riordino», auspica il presidente dell’ordine di Torino.


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