Referendum, i promotori puntano sul secondo quesito

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Da vent’anni a questa parte, con le sue sentenze, la Consulta ha messo paletti molto stretti ai referendum elettorali, la principale preoccupazione dei giudici è quella di garantire «la costante operatività  dell’organo costituzionale» (nel caso della camera dei deputati) impedendo che anche per un solo giorno il paese resti senza una legge elettorale immediatamente applicabile. La discussione è tutta qui, ed è questo il motivo per il quale i promotori degli ultimi referendum sostengono che in caso di vittoria dei sì tornerebbe immediatamente in vigore la vecchia legge elettorale, il Mattarellum. Non perché si sentano di sponsorizzarla, ma per sfuggire il rischio del vuoto legislativo. Nelle dichiarazioni pubbliche però i referendari si diffondono soprattutto nelle critiche la legge attualmente in vigore, il «porcellum» di Calderoli, bersaglio piuttosto facile. Tralasciando di soffermarsi sui difetti del Mattarellum che pure non ha offerto in passato ottime prove. Curiosamente l’autore di quella legge che si vorrebbe resuscitare, Sergio Mattarella, da pochi mesi siede tra i quindici giudici costituzionali e potrebbe astenersi nel caso, improbabile, il suo voto risultasse decisivo.
Un appello di cento costituzionalisti in favore dell’ammissibilità  del referendum (tesi sostenuta però solo in un inciso del testo consultabile sul sito dei referendari) non a caso cita esplicitamente il bisogno che il parlamento intervenga all’esito del referendum. Per migliorare il nuovo (vecchio!) testo dopo l’eventuale vittoria dei sì. Il che è certamente sempre possibile, ma non è precisamente un argomento valido a scacciare le preoccupazioni dei giudici sull’«autoapplicabilità » della legge elettorale risultante. Anche due costituzionalisti molto autorevoli che hanno firmato l’appello dei referendari, Valerio Onida e Alessandro Pizzorusso, non lo auspicano ma immaginano che la Consulta respingerà  il primo dei due quesiti, quello che cancella totalmente la legge Calderoli. Qualche speranza c’è sul secondo quesito, costruito seguendo le indicazioni di un altro costituzionalista, Massimo Luciani, risalenti a un convegno di quattro anni fa. Il secondo quesito punta ad abrogare articolo per articolo e comma per comma solo le modifiche prodotte dalla legge Calderoli sulla precedente legge Mattarella. E neanche tutte le modifiche, ma solo le prime righe di ogni comma del «Porcellum», quelle in cui è scritto ripetutamente che «l’art. x comma y… è sostituito dal seguente…». Un trucco insostenibile, secondo il costituzionalista Mauro Volpi, che considera «manipolativo» il secondo quesito e precisa che la «reviviscenza», cioè il ritorno in vita, di una legge può essere fatta valere solo dal legislatore. Esplicitamente.
Al contrario Valerio Onida che è stato anche presidente della Consulta si affida proprio al principio della «reviviscenza» e ricorda che la legge Calderoli si autodefinisce sin dal titolo «Modifiche alle norme per l’elezione…» e dunque dovrebbe essere pacifico che cancellate le modifiche si torna all’originale «senza alcun ostacolo logico». Altrimenti, aggiunge, l’ammissibilità  del referendum elettorale, più volte ribadita dalla Consulta, rischia di restare un’ammissibilità  astratta. Sulla reviviscenza i costituzionalisti si accapigliano, secondo alcuni le nuove norme abrogano una volta e per sempre le vecchie che dunque sono destinate agli archivi a meno di ulteriori iniziative legislative. Secondo Alessandro Pizzorusso invece la reviviscenza non c’entra nulla in questo caso perché la legge Calderoli ha caratteristiche particolari di «norma sulla produzione giuridica». Sarebbe in pratica una legge che ha dentro di sé la possibilità  di essere sostituita senza danno.


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