Stati Uniti in declino? Il mondo dei «pensatoi» parla ancora americano

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NEW YORK — Negli Stati Uniti continuano a regnare le «teste d’uovo» progressiste della Brookings Institution di Washington, seguite da quelle del Council on Foreign Relation di New York, mentre tutti i grandi «pensatoi» conservatori — dall’American Enterprise Institute alla Heritage Foundation, fino al Cato Institute — perdono colpi. Nel resto del mondo svetta la Chatham House, l’Istituto di affari internazionali di Londra, seguita dal Sipri di Stoccolma, da Amnesty International e da istituti tedeschi, francesi, russi, cinesi, norvegesi, egiziani, polacchi, danesi, persino libanesi. 
Ma tra i primi 50 centri «non Usa» di questa particolare «hit parade della materia grigia» stilata ogni anno dalla University of Pennsylvania non c’è nessuno dei 90 organismi di ricerca italiani. Che sono pochi rispetto ai 1815 dell’America, ai 286 della Gran Bretagna o ai 176 della Francia, ma non pochissimi: siamo all’undicesimo posto al mondo per numero di istituti, davanti a Paesi come Brasile e Spagna. Per trovare ricercatori italiani in classifica bisogna, però, andare a consultare le classifiche regionali. In quella dei Paesi dell’Europa occidentale troviamo al 32esimo posto l’Istituto Affari Internazionali e, al 50esimo, l’Istituto Bruno Leoni: il più attivo punto di riferimento del pensiero liberale che ha anche ricevuto un premio per il suo contributo alla diffusione dei principi di libertà  dalla fondazione filantropica creata da John Templeton, un grande finanziere scomparso qualche anno fa.
È la quinta volta che l’università  americana compila questa particolarissima classifica dell’autorevolezza, cercando di usare criteri il più possibile oggettivi. Questa volta i suoi analisti hanno passato al setaccio 6545 centri studi, 5329 dei quali sono finiti in classifica. Le tendenze più interessanti riguardano la rapida crescita della diffusione di questi istituti nei Paesi emergenti: nei «top 50 del mondo» per la prima volta compaiono in forze centri di Cina, India, Russia, Brasile, Sudafrica, Indonesia, Singapore e perfino Libano, Azerbaijan ed Egitto (con l’Al Ahram Center di studi politici e strategici). Gli istituti italiani non riescono ad entrare, invece, nemmeno nelle classifiche di settore come quella delle politiche sociali, della tutela ambientale e della scienza e della tecnologia. Eppure in quest’ultima compaiono, ad esempio, centri spagnoli, turchi, coreani, austriaci e del Kenya.
Per trovare un po’ di Italia bisogna scandagliare i centri che l’asettica classifica attribuisce al Belgio ma che, in realtà , sono istituti europei indipendenti come l’autorevolissimo Bruegel (nono nella classifica mondiale), fondato da Mario Monti, che ne è stato anche il primo presidente, dal 2005 al 2008. Google Ideas, il «think thank» guidato da Jared Cohen che, ad appena trent’anni di età , è gia un ex consigliere di Condoleezza Rice e di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato, è stato giudicato il migliore tra gli istituti creati negli ultimi 18 mesi. Il Council on Foreign Relations è quello che sa usare meglio le tecnologie digitali e le reti sociali come TwitterFacebook.
Lo studio della Pennsylvania University è, ovviamente, molto tecnico: prescinde dai ruoli individuali giocati da chi anima questi centri. Ma è evidente che, ad esempio, la Brookings riesce a restare al vertice della classifica dell’eccellenza per la capacità  di Strobe Talbott — l’ex diplomatico (e compagno di stanza di Bill Clinton all’università ) che lo anima — di attirare grossi personaggi e produrre ricerche all’avanguardia non solo in politica estera, ma anche in materia di finanza, di congiuntura economica (area affidata al vicepresidente William Gale) e perfino nel campo delle tecnologie militari.
Gli istituti del pensiero conservatore, invece, probabilmente risentono del venir meno — o dell’eclisse — di alcuni grossi personaggi: ad esempio Paul Wolfowitz, che ha animato l’American Enterprise negli anni Novanta, è rientrato nell’istituto dopo le esperienze governative con Bush e la presidenza della Banca Mondiale. Ma oggi il suo ruolo è piuttosto laterale, mentre il centro è nelle mani di Arthur Brooks che gli ha dato una caratterizzazione politica molto aggressiva nei confronti dell’Amministrazione Obama, avvicinandolo alle posizioni della destra radicale dei Tea Party.


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