Veleni dimenticati, una scia di morte

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È silenziosa la morte che colpisce da decenni i luoghi desolati dove sono cresciute le industrie e i depositi dei veleni in Italia. Un conteggio continuo, infinito, che dura ancora oggi senza mai conquistare un titolo, allargandosi come una macchia d’olio, partendo a volte da ammassi ferrosi rimasti a marcare la memoria collettiva del paese dei veleni. Si chiamano Pitelli, Caffaro di Brescia, Valle del Sacco, Casale Monferrato, Porto Marghera, Gela, solo per citare i toponomi più noti dell’elenco dei 57 siti d’interesse nazionale che coprono l’intero paese, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Espressione di fatto ipocrita, che suona più come una condanna perpetua per chi vi abita. Qui l’interesse nazionale non sanno neanche dove sia di casa.
La fotografia impietosa di questa Italia dei veleni l’ha divulgata nei giorni scorsi un gruppo di ricercatori del progetto Sentieri, finanziato e firmato dalla massime autorità  sanitarie: l’Istituto superiore di sanità , il ministero della salute, l’università  «La Sapienza» di Roma, l’istituto di fisiologia clinica e il dipartimento di epidemiologia della regione Lazio. Assente per nulla giustificato è il ministero dell’Ambiente, che, istituzionalmente, è il primo responsabile per le mancate bonifiche dei siti d’interesse nazionale. I ricercatori hanno selezionato quarantaquattro siti per individuare le conseguenze sulla salute degli abitanti dei veleni di origine industriale. Un vero e proprio studio epidemiologico, forse il primo per ampiezza dell’area presa in considerazione.
Le conclusioni sono devastanti. Per il solo amianto – dodici siti contaminati – il conteggio dei decessi direttamente correlati alla contaminazione ha raggiunto i 416 casi, nel periodo dal 1995 al 2002. Morti «in eccesso» rispetto alle medie normali della popolazione residente in aree simili; morti, quindi, direttamente correlate con l’esposizione alle sostanze letali.
Particolarmente complessa è stata l’analisi dei dati epidemiologici nei «siti industriali con molteplici ed eterogenee sorgenti emissive», zone dove i veleni si sono accumulati e moltiplicati nel corso degli anni. È il caso, ad esempio, delle discariche di rifiuti pericolosi, partendo da Pitelli (in provincia di La Spezia), fino alla zona dell’agro aversano, terra di sversamenti incontrollati. Nella zona della provincia di Caserta il lavoro dei ricercatori ha puntato a stabilire nessi di causa ed effetto precisi, partendo dai dati sanitari anomali rispetto alle medie regionali. Tre comuni inseriti nel sito d’interesse nazionale del litorale domizio flegreo e dall’agro aversano – Giugliano in Campania, Qualiano e Villaricca – erano stati già  analizzati da uno studio nel 2004, che «ha evidenziato eccessi di mortalità  per tumore epatico, della pleura, della laringe e per malattie circolatorie». La presenza nell’area delle discariche tossiche gestite per anni dai casalesi si collega, poi, alla mortalità  per «malformazioni alla nascita», vero tratto distintivo della gomorra campana.
Salendo al nord la lista degli epidemiologi si ferma nelle aree industriali, dove per anni le grandi fabbriche chimiche e farmaceutiche hanno sversato veleni micidiali. E’ il caso dell’area Caffaro di Brescia, che prende il nome dall’omonimo gruppo. Una zona che si «caratterizza per un eccesso di linfomi non-Hodgkin negli uomini, neoplasia la cui esposizione a PCB appare oggi documentata con i più elevati livelli di persuasività  scientifica».
Il Lazio è rappresentato da un unico caso, ma particolarmente grave. Si tratta della valle del fiume Sacco, un’area di circa ottanta chilometri di lunghezza, che parte dalla città  delle industrie di armi e chimiche, Colleferro, per entrare nel territorio della Ciociaria: «Si è osservato un eccesso di mortalità  per tutte le cause», spiega il rapporto Sentieri. «E’ stato inoltre osservato – proseguono i ricercatori nelle conclusioni – tra gli uomini un eccesso di mortalità  per il tumore dello stomaco e le malattie dell’apparato digerente». Conseguenze, in questo caso, del lavoro nelle locali fabbriche. Eccessi di mortalità  dovuti all’occupazione che sono stati poi riscontrati anche in altre altre zone a presenza industriale, come in Puglia e nelle aree del petrolchimico in Sardegna, a Porto Torres.
Lo studio è solo un primo passo per ricostruire l’Italia delle scorie e delle morti industriali. Le ricerche e i dati esistenti permettono di delineare solo un quadro ancora iniziale, che già  appare inquietante. Solo 16 siti d’interesse nazionale sui 44 presi in considerazione possiedono un registro delle malformazioni, mentre molte zone che hanno ospitato i peggiori veleni della storia d’Italia – come Pitelli – non sono mai state studiate adeguatamente.
Rimane sullo sfondo l’assenza di verità  e di giustizia. Solo molto raramente qualcuno ha pagato per questa strage silenziosa e solo dopo anni di processi, spesso finiti con un nulla di fatto. Oggi nei siti d’interesse nazionale qualcuno vorrebbe aprirci delle zone franche, per far dimenticare alle popolazioni i tanti veleni – non solo fisici – che hanno dovuto ingoiare. Una vera e propria strage di stato.

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LA MAPPA DEI VELENI

1 Casale
Monferrato

Città  simbolo dell’amianto, che nel corso dei decenni ha provocato centinaia di vittime: «Un contributo all’incremento della mortalità  per tutti i tumori può derivare da quanto osservato per il tumore della pleura, ascrivibile all’esposizione ad amianto».

2 Pitelli
La Spezia

La discarica di rifiuti industriali più grande d’Italia fu sequestrata nel 1996. Si legge nel rapporto: «Nel SIN risulta in eccesso la mortalità  per tutti tumori».
Malattie dovute in molti casi anche all’ambiente, oltre all’esposizione sui luoghi di lavoro.

3 Porto Torres

Zona della Sardegna in provincia di Sassari caratterizzata dalla presenza del polo petrolchimico: «Per le cause di morte in associazione con le fonti di esposizioni ambientali del SIN, si osserva, in entrambi i generi, un’aumentata mortalità  per il tumore del polmone, per le malattie dell’apparato respiratorio anche acute e per le malformazioni congenite».

4 Valle del Sacco,
Ciociaria

Zona tra Colleferro e Frosinone: «Eccesso di mortalità  per tutte le cause in uomini e donne.Tra gli uomini si osserva un eccesso di mortalità  per tutti i tumori e per le malattie dell’apparato digerente, tra le donne si ha un eccesso di mortalità  per le patologie del sistema circolatorio».

5 Litorale domizio
e agro aversano

E’ la zona dello sversamento dei rifiuti tossici da parte dei Casalesi, area caratterizzata ancora oggi dalla presenza di moltissime discariche illegali di scorie velenose, provenienti dal nord Italia: «La prevalenza di malformazioni alla nascita si correla con l’indicatore di esposizione a rifiuti pericolosi».

6 Litorale
vesuviano

Zona caratterizzata da numerose discariche e dalla presenza di siti di smaltimento illegale e di combustione di rifiuti sia urbani sia pericolosi: «Risultano in eccesso la mortalità  per tutte le cause e per tutti i tumori solo fra le donne». Le malattie dell’apparato digerente colpiscono invece tutti.

7 Gela
Caltanissetta

Zona con attività  petrolchimica: «Per le cause di morte legate a fonti di esposizioni ambientali il segnale più evidente è quello di un eccesso di tumori polmonari
sia tra gli uomini sia tra le donne; tra gli uomini sono in eccesso anche il tumore dello stomaco e l’asma».

8 Crotone

Zona ionica della Calabria: «La definizione del profilo della contaminazione dell’area e la verifica di eventuali vie di esposizione della popolazione tutt’oggi attive risultano di particolare rilievo, vista l’eterogeneità  dei segnali di rischio. Sarebbe opportuno attivare un sistema di sorveglianza epidemiologica».

9 Brindisi
Zona industriale

A rischio sono il lavoratori delle industrie locali: «Rispetto alle esposizioni ambientali presenti nel SIN è possibile che la componente professionale abbia maggiormente contribuito all’aumento di rischio per tumore della pleura tra gli uomini». Risultano poi in eccesso le malformazioni congenite.

10 Val Basento
Matera

Pochi i dati disponibili che il gruppo di ricercatori ha potuto analizzare: «E’ necessario raccomandare un approfondimento della contaminazione ambientale e dello stato di salute della popolazione». In ogni caso «tra gli uomini si osserva un eccesso della mortalità  per tutte le cause», spiega lo studio nella scheda di analisi di quest’area.

11 Bari
Fibronit

Stabilimento di cemento amianto: «Tra le principali cause di morte incluse, sia negli uomini sia nelle donne, risulta un eccesso di mortalità  per tutte le cause, per tutti i tumori e per malattie dell’apparato respiratorio».

12 Basso bacino
del fiume Chienti

Zona con presenza di un impianto calzaturiero: «Si osservano eccessi per alcune patologie, riconducibili a esposizioni di tipo sia ambientale sia occupazionale». Nell’area vivono quasi centomila persone.

13 Falconara
Marittima

Area con impianti chimici e raffineria: «Il principale eccesso di rischio è per il tumore del polmone in entrambi i generi; nelle donne risultano in eccesso le malattie respiratorie acute, mentre negli uomini è in eccesso il tumore del colon-retto».

14 Porto
Marghera

Zona storica del petrolchimico: «Agli eccessi di mortalità  osservati nel SIN per tutti i tumori
e tumore del polmone, della pleura, del fegato, del pancreas, della vescica e per cirrosi epatica ha verosimilmente contribuito l’occupazione».

16 Broni
Pavia

Area di produzione di amianto: «Si osserva negli uomini un eccesso per le pneumoconiosi, patologia professionale che necessita di un’esposizione di una certa rilevanza. L’impatto sulla popolazione di Broni è stato importante e chiaramente rilevabile».

15 Brescia
Caffaro

Area con industrie chimiche, dove è stato riscontrato «l’eccesso dei linfomi non-Hodgkin negli uomini, neoplasia la cui relazione con l’esposizione a PCB appare oggi documentata con i più elevati livelli di persuasività  scientifica».


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